Blacklights, amiamo aprire le nostre interviste in maniera singolare. Volete raccontarci un aneddoto o un ricordo forte, particolare, ma specialmente poco conosciuto, legato alla vostra musica da rivelare ai nostri lettori?
Figo! Di aneddoti ne abbiamo diversi, ma il più divertente pensiamo sia questo: nei nostri due anni di esperienza abbiamo avuto più di un momento stressante, quelli in cui l’ansia ti mangia dentro e avresti preferito rimanere a casa con la porta della camera chiusa a doppia mandata, ma li abbiamo superati tutti indenni, fortunatamente. La cosa interessante è che ognuno ha un proprio modo di far fronte al proprio stress, e il nostro bassista in questo è unico: quando la situazione inizia a farsi pesante, si ritira e si addormenta beatamente ovunque la situazione lo permetta. Fortunatamente quando si tratta di suonare lascia sul divano il sonno e tira fuori dalle corde la caffeina di cui ha bisogno.
Siete in attività dal 2015, ma solo in quest’ultimo anno avete prodotto musica a livelli ufficiali. Raccontateci di questi due anni. Chi sono stati gli artisti che vi hanno influenzato maggiormente, fino a farvi raggiungere questo sound?
Diciamo che in questi due anni le influenze sono cambiate, anche se forse sarebbe meglio dire aggiornate. Abbiamo iniziato con canzoni molto vicine al rock anni ’70 come quello dei Rolling Stones. Man mano che andavamo avanti ci siamo evoluti, approfondendo degli aspetti che magari prima non tenevano in considerazione, avvicinandoci di più a band come i Nirvana e i Green Day. In ogni caso il background che tiene in piedi tutto è formato dal britpop degli anni 90, in particolar modo gli Oasis.
Ci sono artisti contemporanei che ritenete tuttora validi, o dai quali traete ispirazione per i vostri brani?
Ultimamente il mondo dell’indie romano sta crescendo in termini di qualità: ci sono band come I Cani che stanno avendo grande seguito, così come i Thegiornalisti, con i quali condividiamo la passione per la band di Manchester e poco altro. Per quanto riguarda il panorama internazionale, band come i Foo Fighters o i Green Day, ancora capaci di riempire interi stadi, sono comunque appartenenti ad un’altra generazione. In questo periodo storico/culturale, le band come la nostra sono orfane di riferimenti contemporanei ai quali potersi affidare.
Qual è il messaggio che volete trasmettere con il vostro brano di punta “Mamma Italia”, e quali sono state le esperienze personali che vi hanno portato a muovere questa critica?
Scrivendo “Mamma Italia”, il pensiero era quello di tirar fuori una canzone nella quale musica e parole andassero insieme, seguissero una stessa linea emotiva, capace di portare all’ascoltatore il messaggio più importante di tutti: non arrendersi anche se le cose sono una merda, e se c’è anche una minima possibilità di vincere, allora vale la pena tentare. Il testo è un ipotetico ragionamento di un ragazzo italiano degli anni ’90, che si vede cadere addosso tutto e, dopo un primo momento di sconforto, decide di rialzare la testa.
Per quanto riguarda le esperienze personali penso basti dire che siamo italiani, e questo tipo di fatti ti tocca dentro. Poi, magari, con l’aiuto di persone a noi vicine, siamo stati sensibilizzati più di altri su questo argomento.
Cosa avete in serbo per il futuro? State già lavorando a nuove tracce o state sfruttando l’onda positiva che vi ha portato la produzione attuale?
Per il futuro abbiamo in serbo una marea di cose. Prima di ottobre sarà uscita una nuova canzone, sulla quale stiamo lavorando da parecchio tempo e che ci piace veramente tanto. Cercheremo anche di incrementare il più possibile la nostra attività live, magari anche in modi meno convenzionali di altre band (ridono) e ci piacerebbe trovare un’etichetta che ci aiuti a crescere dal punto di vista musicale.
Un po’ di spazio per voi, dite liberamente ciò che volete.
Vogliamo solo ringraziare Music.it per questa bella intervista e avvisarvi che nei prossimi mesi ci sarà tanta roba per tutti voi! Alla prossima!