DANIELE CASTELLANI: “Devi avere feeling anche con te stesso”
Una foto promozionale del cantautore Daniele Castellani.
Una foto promozionale del cantautore Daniele Castellani.

DANIELE CASTELLANI: “Devi avere feeling anche con te stesso”

Diamo il benvenuto a Daniele Castellani su Music.it. Sono felice di poterti intervistare perché, in tutta sincerità, non ho capito se il tuo disco “Arrivederci Emilia” mi è piaciuto o no. Spero che questa possa essere un’occasione per comprendere meglio il tuo lavoro. Per cominciare: mi racconti un aneddoto relativo alla musica che non hai mai raccontato in un’intervista ufficiale?

Ciao a tutti i lettori di Music.it! Sono felice di poter esservi utile. Il pensiero vola subito verso la vasta collezione di musicassette nella stanza di mio fratello maggiore, che andava da Arthur Smith agli Iron Maiden e da Enzo Jannacci a Vasco Rossi. E poi alla sua Fender Stratocaster e di come non volle insegnarmi perché “dovevo imparare da solo”. Non lo so, io credo che sia stato un buon consiglio, perché è bello arrangiarsi e “farsi da solo”. Ma credo che semplicemente di insegnarmi non ne avesse voglia! (Ride). Ora però quella Fender è nella mia stanza.

Nelle tue canzoni, mi è sembrato di cogliere qualche vaga somiglianza con Lucio Battisti. Confermi? Quali sono le tue principali influenze musicali?

No, non credo di somigliare a Lucio Battisti, ma se qualcuno mi dicesse che le mie canzoni ricordano le sue gli pagherei da bere. Forse non più dopo questa intervista però. Influenze basiche, di getto: Joy Division, Deep Purple, Vasco Rossi. E poi il battagliero e i brani di liscio che ho sempre ascoltato nelle estati degli anni ’80 e ’90 a Montecagno, vicino Ligonchio – nell’affascinante Appennino reggiano. Comunque sento che è maggiormente la musica rispetto ai testi ad influenzarmi. Ci sono anche canzoni che restano come granito nel mio modo di approcciarmi alla musica. Ne cito alcune classiche: “Lugano Addio” (Ivan Graziani), “Peaches” (The Stranglers); “Brava Giulia” (Vasco Rossi), “Charlotte Sometimes” (The Cure), “Nata sotto il segno dei pesci”, (Antonello Venditti) e “Banana Republic” (Lucio Dalla e Francesco De Gregori).

Alle spalle hai una lunga serie di esperienze, sia come autore che come chitarrista. Cosa ti ha spinto a emanciparti nella carriera da solista? Ritieni che avere maggiore libertà espressiva ti abbia aiutato a comunicare qualcosa che, nel lavoro di gruppo, si sarebbe perso?

Ritengo che l’emancipazione che dici sia questione di diverse profondità da raggiungere più che di cronologia di eventi. Ci sono anche gruppi che non dovrebbero mai lasciarsi, e quando succede poi spesso tornano a suonare assieme. Il mio obiettivo comunque è sempre stato suonare la mia musica. Avrei potuto farlo volentieri con una band, ma poi non sono riuscito; a me interessa solo cercare di suonare le cose come le ho in testa. Ed è difficile anche da solista farlo, il feeling lo devi avere anche con te stesso.

E poi non si è mai da soli, anche da solisti. Giusto?

Un giorno ho sentito che avrei fatto da solo il disco a cui pensavo da un po’ di tempo. Quindi ho composto tutte le parti, e con l’aiuto dei bravi Massimo e Alessandro (chitarra e batteria) in tre giorni abbiamo registrato. Non dimentico che in fase di mettere tutto in pratica Stefano Papetti (tastiere) mi ha dato consigli e mi ha aiutato risuonando con la sua tastiera le melodie che avevo registrato “in casa”. E ha aggiunto i bellissimi accompagnamenti che sentite – lui ha un’esperienza irraggiungibile ed è stato un amico.

Sei un personaggio parecchio eccentrico, è davvero difficile descriverti. Se tu fossi un oggetto, un qualunque oggetto inanimato, cosa saresti?

Ma non lo so, non mi reputo eccentrico. Anzi, ammiro e invidio gli eccentrici! Mi stanno simpatici, mi piace ascoltarli… Sarei un citofono forse.

Nella tua musica si percepiscono continui rimandi al passato. Ti senti un pesce fuor d’acqua, in questa epoca così lontana dalle suggestioni che racconti?

Non sono un profeta e allora non mi resta che scrivere di cose che so. La nostalgia è per i fortunati. Quando la mente ricorda a volte è molto gentile. E la nostalgia ce l’ho. Però, a prescindere da questo, le mie canzoni sono pietre miliari della mia vita. Faccio spesso parallelismi con la fotografia e la musica. Per me, sono foto che voglio tenere e ricordare. Non mi sento un pesce fuor d’acqua, anche se vorrei che fosse tutto più semplice. Anche solo uscire a bere un drink con un amico. In ogni epoca starei bene. Mi basta avere persone sincere attorno con cui divertirmi.

In “Fantastici Poemi”, racconti di giochi e storie che inventavi quando eri costretto a rimanere chiuso in casa per motivi di salute. Ti ricordi di un gioco che ti piaceva particolarmente fare?

Immaginare.

Devi proprio dirmelo: cosa c’entra Jessica Lange alla fine del testo di “Oslo”?

Forse è la protagonista della canzone. Chi lo sa…

Ti ringrazio per questa intervista chiarificatrice! Vuoi aggiungere qualcos’altro?

Certo! Voglio dire grazie a quelli che hanno collaborato al disco, a quelli che mi hanno aiutato e che hanno puntato sulla mia musica. E naturalmente a quelli che stanno acquistando l’album. È una bella soddisfazione! Ciao e grazie anche a voi.