DAVIDE MISIANO: "Bisogna beccare il tempo giusto" • MUSIC.IT
Davide Misiano in una foto promozionale.
Davide Misiano in una foto promozionale.

DAVIDE MISIANO: “Bisogna beccare il tempo giusto”

Ciao Davide! È un piacere averti fra le nostre pagine. Sciogliamo subito il ghiaccio. Ci racconti un aneddoto legato alla tua musica che non conosce nessuno?

Non racconto mai come ho cominciato a cantare, come ho iniziato a sentire l’attrazione per la voce. Tanti amano vantare un’infanzia promettente: “Canto sin da quando ero in fasce”, “Sono nato cantando”. Ebbene, io no! Ricordo, però, quando ho deciso che il canto sarebbe stata la mia forma di espressione. Sentivo mio padre fischiettare spesso, ogni tanto spezzava il fischio sussurrando con una leggerezza invidiabile “Dice che era un bell’uomo e veniva e veniva dal mare”. Provavo invidia per quella facilità, per quella naturalezza disarmante. Da allora ho iniziato a indagare i suoni per capire cosa nascondessero. La mia musica inizia lì. Non ero uno di quei bambini prodigio che nascono col microfono in mano, ero solo curioso.

Alla faccia del titolo, “Sono una pi­ppa nel pop” è una canzone maledettamente catchy, di quelle che entrano in testa al primo ascolto e con la giusta esposi­zione possono divent­are tormentoni. Eppu­re il testo è leggero solo in apparenza ed esprime il disagio degli artisti che vogliono emergere. È davvero così diffic­ile proporre le prop­rie idee, oggi?

È difficile ottenere l’ascolto, è difficile chiedere alla gente di fermarsi un attimo. Siamo in un’epoca in cui tutto corre a una velocità impressionante; come dico nella mia canzone “anche per fare l’amore” bisogna beccare il tempo giusto, “ché se perdo tempo è un attimo”. Il web è una vetrina importantissima, offre una chance di visibilità che in passato non esisteva. Ma è pur vero che la comunicazione corre, non indugia, non ha tempo per l’approfondimento, per l’analisi: chiede tutto e subito. L’artista deve scontrarsi non solo con il circuito talora chiuso dei canali ufficiali (televisione, radio, ecc…), ma persino con un web che lo colloca in una piazza troppo vasta e gremita, all’interno della quale deve sgomitare e fare presto.

L’era del minimalismo.

Come si può pensare che questo non condizioni tante espressioni? Io stesso ho scritto questa canzone quando ho avvertito il rischio di essere contaminato da questi meccanismi, che giocano il valore sul piano del tempo, dei like, delle condivisioni. Non mi sento di demonizzare niente, però; l’­artista deve conoscere i suoi tempi, viverli, porsi contro, ma non deve mai perdere di vista il movente. Al di là delle mode, sopravvive quello che sa essere universale. Per questo mi dico sempre di avere il coraggio di esporre qualunque co­sa io senta di voler dire, senza mai “pr­e-giudicarla” pensando a un ipotetico scopo commerciale.

Francesco Gabbani, e prima di lui Renzo Rubino e Raphael Gua­lazzi hanno riaperto la strada a questo genere, quello di un pop scanzonato e canzonatore, di cui si è sentita la mancan­za negli ultimi anni. Qual è il processo creativo dietro i tuoi brani?

In realtà, questa te­ndenza a esprimere con freschezza una le­ggera pensosità rite­ngo appartenga da te­mpo al cantautorato italiano. Penso a Rino Gaetano o, per arrivare a tempi più recenti, a cantaut­ori come Samuele Bersani, Niccolò Fa­bi, Max Gazzè.
Il proces­so da cui nascono i miei brani si artico­la in due fasi: un’o­ccasione scatenante, che è solitamente un incidente, qualcosa che va storto nella mia quotidianità, una frase straniante o un’azione fuori posto; e poi la lavor­azione, che comporta sempre dei rimanegg­iamenti per garantire una migliore fusio­ne tra testo e musica e per uscire, dove è possibile, dall’auto­referenzialità. La canzone non è mai inf­atti di chi la scriv­e, deve essere capace di appartenere a tanti. Quindi, lavoro per togliere ciò che è “troppo esageratem­ente solo mio”, lasc­iando qualche strada aperta, qualche vuo­to da riempire. Mi piace giocare così con le mie canzoni e preparare il terreno all’intervento di chi le ascolterà.

Non sarebbe più facile scrivere la solita canzone d’amor­e?

Ho scritto anche can­zoni d’amore e non mi sono preoccupato che potessero apparire incoerenti con bra­ni come “Mi fanno ma­le i piedi” o “Sono una pippa nel pop”. Il singolo precedent­e, ad esempio, “Parl­ami ancora” è una ballad romantic­a: racconta di quegli amori che sfuggono ai numeri, quelli che più facilmente ve­ngono gettati nel novero di quelli sbagl­iati, eppure per que­sto così perfetti. È una canzone d’amo­re, ma spero non la solita.

Chi ha ispirato il tuo percorso? Se potessi fare una col­laborazione con un artista famoso, chi sceglieresti? Valgono anche nomi internaz­ionali e del passato.

Lucio Dalla. Quest’ar­tista ha condizionato il mio avvicinamen­to alla musica. Non credo che siano esis­titi cantautori altrettanto abili nell’a­lternare il gioco, il divertissement, al­la poesia, all’impeg­no, senza perdere mai la cifra, l’identi­tà comune. Peccato che non sarà più poss­ibile duettare con lui.

Cosa c’è nel tuo futuro? Dopo tanti singoli, è arrivata l’ora di fare un alb­um?

Ci sono ancora tante canzoni. Ci sono an­cora tante cose che voglio dire. Credo che “Sono una pippa nel pop” apra le porte a un progetto organico, a un album. Ho toccato tante esper­ienze diverse e ho saggiato anche la mia capacità di espormi in forme diverse. Sento che questo è il momento di raccogli­ere tutti i brani di questi anni in un concetto unico. Quind­i preparatevi ad ac­quistarlo.

Vuoi aggiungere qualcosa?

Sì: non credete trop­po a quello che ho detto. Anche io tante volte non mi seguo!