Abbiamo assistito alla seconda replica di “Gala” di Jérôme Bel, andato in scena al Teatro Argentina il 9 e 10 Settembre all’interno della tredicesima edizione di Short Theatre. Con questa performance, Jérôme Bel prosegue la sua sperimentazione rispetto all’osservazione delle convenzioni teatrali, concentrandosi, in maniera ancora più specifica, sulla tematica della democratizzazione della danza. Il regista, noto per aver portato in scena disabili mentali con “Disable Theatre” e semplici spettatori con “Cour d’honneur”, stavolta mette insieme un gruppo di danzatori professionisti e non. Il gruppo di interpreti è composto da: Anastasia Cristini, Andrea Ginevra, Cecilia Borghese, Chiara Lupi, Ella David, Emiliano Argentero, Giacomo Curti, Gioele Fangano, Komara Djiba, Lucia Cammalleri, Lucia Lucidi, Luisa Merloni, Nedzad Husovic, Nicola Gentile, Nina Solfiti, Riccardo Festa, Riccardo Peyronel, Sergio Morgia, Patrizia Vosa e Zhou Fenxia.
Il sipario si apre su una carrellata di proiezioni che ci mostrano qualsiasi tipologia di teatro del mondo. Dal silenzio della sala, nasce spontanea la domanda, mai retorica: che cos’è il teatro? E ancora: cosa serve per far sì che una performance sia tale? Quando nasce il “fare teatro”? Basta un attore e uno spettatore per far succedere un fatto? E chi è lo spettatore e chi l’attore? Con queste riflessioni Jérôme Bel ci fa immergere in una sequenza di piroette bene o male riuscite, ma poco importa. Il denominatore comune è che, chiunque salga su quel palco, giochi con estrema serietà e concentrazione a fare teatro.
I componenti del gruppo messo insieme da Jérôme Bel lavorano in grande ascolto l’uno con l’altro. C’è all’interno di “Gala” una profonda solidarietà e apertura.
I performers di “Gala” lavorano con una totale assenza di giudizio verso i propri compagni e mirano a raggiungere una propria libertà fisica, anche se non ne sono totalmente consapevoli. Degno di nota, e anche di un interessante e possibile studio antropologico, è il lavoro a specchio l’uno con l’altro. Osservando la ballerina professionista, una vera danzatrice del Balletto Di Roma, la non professionista signora sessantenne diventa, anche lei, una perfetta e libera ballerina di un qualsivoglia Balletto di una qualsiasi città. Così qualcosa accade e lo spettatore resta incollato a quella verità in cui si rispecchia e si identifica.
“Gala” capovolge totalmente il concetto secondo il quale chiunque salga su un palco debba avere una tecnica infallibile e una preparazione impeccabile.
I componenti del gruppo messo insieme da Jérôme Bel lavorano in grande ascolto l’uno con l’altro. C’è all’interno di “Gala” una profonda solidarietà e apertura. Tutti sono pronti ad aiutarsi e scambiarsi cenni d’intesa per raggiungere un obiettivo comune. Tutti si prestano a giocare e a giocare bene. C’è come un ritorno ad una dimensione infantile in cui tutto quello che si fa ha un’estrema importanza, così come ha un’estrema importanza farlo nel migliore dei modi, al massimo delle proprie capacità e potenzialità. Il pubblico apprezza l’impegno e l’onestà al di là del risultato. L’errore è accolto a braccia aperte in questo caso, anzi, chi sbaglia ha vinto e si prende un applauso.
“Gala” capovolge totalmente il concetto secondo il quale chiunque salga su un palco debba avere una tecnica infallibile e una preparazione impeccabile. In questo caso, anzi, lo studio e la perfezione diventano un mero contenitore di una sostanza che non c’è. Il ballerino professionista resta soltanto molto bello esteticamente da vedere. Gli occhi si saziano, ma non l’anima. La tecnica, a tratti, arriva quasi ad annoiarci, perché diventa qualcosa di relativamente utile. Al contrario, la goffaggine, l’inadeguatezza, l’impreparazione dei non professionisti, accendono un interesse vivo nello spettatore che ride, si commuove ed empatizza con chi ha di fronte.