GIANCANE: “Mi fa paura Gerry Scotti, con quella faccia da buono, da losco”
Giancane ritratto da Alice Nucci.
Giancane ritratto da Alice Nucci.

GIANCANE: “Mi fa paura Gerry Scotti, con quella faccia da buono, da losco”

Ciao Giancane! Ti do un caloroso benvenuto sulle pagine di Music.it. Cominciamo subito a partire dalla centesima data live che hai festeggiato il 3 Novembre con un concerto al Monk. Com’è andata?

Ma sai che forse è la trecentesima data?! Non lo so nemmeno io quante ne ho fatte di date. E meno male direi! Il conto totale non lo so, ho contato solo queste qua e sì, al Monk è andata molto bene.

Immagino che nell’arco del tour, che in 11 mesi ti ha portato in giro per 100 tappe diverse, te ne siano successe di tante. C’è un aneddoto particolare che ricordi e che ci vuoi raccontare?

Beh sì, ce ne stanno parecchi e diversi. Quest’estate con la band che mi accompagna abbiamo fatto praticamente tutti festival e quindi di situazioni particolari non è che ne siano capitate troppe. È al chiuso che succede sempre qualcosa. Mi viene in mente che nella data di Rimini siamo dovuti arrivare a San Marino a recuperare una batteria e degli sgabelli. Però, sai, la parte in cui ci divertiamo oltre al live è quella dopo, in al albergo. Penso che abbiamo dormito in totale una decina di ore in cento giorni, perché la sveglia negli alberghi suona sempre presto e noi facciamo tardi. Una volta abbiamo dovuto mettere un armadio davanti alla porta per non farci svegliare. Un’altra invece sono proprio entrati e ci hanno fatto le valigie mentre dormivamo per poi sbatterci fuori. È stata quella la cosa più ardua che abbiamo fatto, svegliarci.

E quindi nelle situazioni live non succede niente di strano.

È che noi siamo più strani, quindi qualsiasi cosa che accade la prendiamo come spunto. Però, ora che ci ripenso, un aneddoto eclatante ce l’ho. Quest’estate abbiamo fatto un live nella provincia di Varese e quindi in pieno territorio della Lega. Accanto a noi si teneva la festa della Lega Nord, che anche se ora non esiste più come Lega Nord, lì ancora c’è. Abbiamo scoperto dopo che c’era un tale che tentava di pagare dei bambini in birre per lanciarci i sassi. Purtroppo però non ce li hanno tirati. Sarebbe stata una bella cosa. E quindi, “Adotta un fascista” l’abbiamo cantata come “Adotta un leghista”. Così, tanto per farci volere bene. E ogni tanto queste cose succedono. Non ci si annoia mai facilmente. Ogni live è a sé proprio perché prendiamo spunto da queste cose che ci succedono. In piccolo, qualcosa c’è sempre.

Passiamo al Muro. Mercoledì sera, Alessandro Pieravanti ha inaugurato la seconda stagione di “Raccontami di Te”, ospitando Il Muro del Canto sulle frequenze di Radio Sonica. La rubrica, che va in onda ogni due Mercoledì live da “Na Cosetta” al Pigneto, lo scorso anno l’avevi battezzata proprio tu come ospite nella puntata pilota. Ti va di raccontarci la storia della tua decisione di lasciare il gruppo?

Volevo passare infatti, ma purtroppo non non ce l’ho fatta. L’ho ascoltata oggi in differita.
La decisione di lasciare il gruppo non è stata molto facile. Però, mi sono reso conto che il tempo da dedicare a quel progetto sarebbe stato tantissimo e non ce l’avevo. Non per Giancane però, ma proprio per ragioni di vita. E questa de Il Muro del Canto è una cosa a cui il tempo serve. Rendendomi conto di non potergliene dedicare a sufficienza, l’ho semplicemente comunicato. Loro sono persone che conosco da una quindicina d’anni. Ci ho suonato insieme per otto anni e mezzo, ma prima gli facevo da fonico nei gruppi precedenti. Siamo una famiglia in realtà. È dura, ma è anche un atto di maturità. Se vuoi, ti dico che abbiamo litigato ma non è vero. (Ride).

Ma in effetti non te l’ho chiesto per andare a caccia di gossip. Piuttosto, appunto, per conoscere la natura di questa che è stata per noi fan una notizia bomba.

È una questione d’amicizia. Di rendersi conto di non poter fare una cosa. E senza dover mettere troppe angosce in mezzo, è meglio la chiarezza. Per come siamo fatti noi, su questo ci siamo trovati, sebbene con moltissimo dispiacere. Siamo stati due, tre mesi a pensarci insieme. Sai, c’è questo mio tour, in più sto cambiando casa. Purtroppo sto in una situazione particolare di vita che è tutto un casino e che al momento non mi permette di avere troppo tempo, quindi ho dovuto scegliere.

Cambi casa, ma resti sempre a Roma, no?

Certo. Che sei pazza?! Sempre dentro al Raccordo!

Ripartiamo dal principio, adesso. C’è stato un momento in cui hai capito che avresti fatto musica?

In realtà l’epifania ce l’ho avuta intorno ai 25 anni. Io lavoro da quando ne ho 16, però sempre in situazioni terribili a livello contrattuale. Erano anche gli anni dei co.co.co. e co.co.pro. ed erano assurdi. A 25 anni ho perso la testa e mi sono chiesto cosa mi piacesse fare. E a me piaceva suonare, così mi sono buttato. Tanto alla fine uno stipendio medio-basso esce comunque fuori. Io facevo il rappresentante di pelletteria e accessori moda. Io sono la cosa più lontana dalla moda che ci sia e non era proprio il lavoro per me. Andava pure bene, ma gli orari erano terribili e in sostanza mi ero rotto le palle.

In sostanza, Giancane ha scelto la vita.

Sì. Mi sono detto: “a me questa cosa non piace e non ho voglia di vivere male. Proviamo”.

Tu hai sempre suonato la chitarra?

Sì, ma in realtà il lavoro principale era quello di fare dischi altrui. Già facevo il fonico e ho cominciato a farlo a martello sia in studio che nei live. Poi, ho sempre suonato cose strane. Sempre fatto cose sperimentali, fuori dall’uso comune della musica, tipo noise e robe così.

Invece quanto ti piace cantare?

Sai, l’ho scoperto da non troppo tempo in realtà. Suono da 20 anni, ma saranno 8 che canto. Mi piacciono i cori perché stavo in fissa coi Queen. Ma pure tutta la parte metal e grunge degli anni ’90. Poi per lavoro ho dovuto ascoltare anche cose brutte, e credo che alla fine, probabilmente, Giancane sia il mischione di tutta ‘sta roba.

A propostito, il nome Giancane da dove arriva?

Non è che abbia una chissà quale genesi. Mi chiamo Giancarlo e gli amici mi chiamavano Cane. In ogni gruppo sociale c’è un cane e in quel caso ero io. È stato facile. Per tre quarti comunque c’è il mio nome, quindi funziona. Pure se mi chiamano Giancà, quello sono io. In verità, all’inizio dovevamo fare un concerto solo. Era il Roma Brucia del 2013 ed eravamo in due. Poi, ho notato che mi ero divertito e abbiamo continuato.

Parlando invece di “Ansia e Disagio”. Vorrei chiederti diverse cose, ma la prima riguarda la scrittura. Ovvero: le tematiche che affronti e la modalità attraverso cui vengono poi riportate nero su bianco sono frutto di un pensiero a monte oppure no?

Non c’è mai una scelta a monte in questa cosa qui. Tutto è totalmente casuale. Infatti, direi che è più o meno una raccolta. Cinque pezzi del disco erano già stati scritti e usciti prima della pubblicazione dell’album. Come “Buon Compleanno Gesù”, che era già uscito un annetto prima. Anche “Limone” è uscita d’estate. Altre cose le ho scritte pure dopo, ma non mi sono mai messo a cercare un concept della scrittura. Quello che mi viene, faccio. È una cosa molto libera e voglio che rimanga tale proprio per evitare stress inutili e per non forzare nulla. Può essere un po’ disomogeneo a volte, però mi piace così. Un filo conduttore c’è, dai.

Sì. E infatti il tuo disco guarda molto alla contemporaneità. La cosa più peculiare, almeno per me, è che comunque anche una persona di nuova generazione può ritrovarcisi senza troppe ricerche da fare.

Dici che qualcosa ce lo può ritrovare? Ma sì. Guarda, il prossimo disco sarà terribile perché sto in un momento strano. Più della metà sta già nel mio cervello, ma devo aspettare di finire il tour per scrivere come si deve. Ho bisogno proprio di stare male per scrivere.

Stare male, quindi rinchiuso?

Sì, io scrivo chiuso. È un lavoro grande che io faccio con me stesso. Fa male, è una cosa brutale. Non so scrivere a comando, quindi cerco spunti da dentro e ultimamente non è che sto benissimo, quindi sarà un disco un po’ più scuro, credo. Però ci può stare, no?

Certo. Esaminarsi fa poi parte di un processo di rinnovo, non credi?

Sì. Credo che sarà molto più lento, più scuro. Perlomeno quello che sto scrivendo adesso è così. Poi, speriamo che un attimo di riacchiappo ci sarà. Un paio di pezzi speed ce ne sono, però la maggior parte sono più soft, anche se solo musicalmente, perché a livello di testi probabilmente saranno più grevi. Parleranno di cose toste. Non farò una lira, ma servirà a me per non andare dallo psicologo.

Funziona, a livello terapeutico, questa cosa di tradurre se stessi nero su bianco?

Beh, come lavoro psichico per me è fondamentale perché in realtà sono parecchio introverso. Quindi, in quel caso lì butto fuori un po’ di schifezze che ho dentro e mi libero. Ci sono dei pezzi che mi danno ancora questo effetto quando li suono dal vivo. Tipo “La Vita” o queste cose un po’ più soft che non sono abituato a fare. “Disagio” se proprio mi incazzo ancora funziona. Poi, ovviamente, un po’ di colore arriva da fuori. Sennò mi sarei già ammazzato probabilmente. Perché in prima persona non è che sputo solo sentenze, mi ci metto in mezzo allo schifo perché ognuno di noi ha una parte che all’altra parte non piace. Cerchi sempre di migliorarti quando te ne rendi conto. È un lavoro veramente psicologico, quindi è tosto da fare per me. Inoltre devi stare in un mood particolare. Ora non voglio attaccarti il pippone..

Ma figurati! Con me sfondi una porta aperta rispetto alla genesi dei lavori. Anzi, a proposito di “sfonnà porte aperte” ti dico che quando ho ascoltato “Non sono ricco” mi è venuta una gran voglia di riguardare “Boris”. Sono matta?

Non so perché, ma ci può stare. Non ci avevo mai pensato o meglio, non ho pensato a quello, ma semplicemente al mio portafoglio. Però ti dico che “Boris” è la mia serie preferita quasi di tutti i tempi. In Italia, di sicuro. L’ho vista almeno dieci volte. C’è una scuola vicino da me che fa cinema e tv e credo che se non vedono “Boris” non possono lavorare.

Hai mai ricevuto sguardi strani per questo o altri pezzi?

In realtà chi viene ai miei concerti è preparato alle nefandezze che dico. Fuori dai concerti, più che per quel pezzo là, succede per “Vecchi di merda”. Mi hanno querelato tre volte per questo. Non è mai andato nulla in porto perché, che dire, ho portato il testo stampato, l’abbiamo analizzato e non è successo niente. Però, sicuramente, in qualche piazza dove c’è gente a caso, qualcuno si risente.

A questo punto ti chiedo: il pubblico quanto contamina la dimensione live?

Parecchio. Tu considera che sul palco siamo in cinque/ sei e non abbiamo mai provato. I musicisti che mi sono trovato suonano tutti benissimo. Tutti hanno l’attitudine giusta e ci troviamo solo a guardarci. Non c’è mai stress e di questo sono contentissimo. Solo se dobbiamo fare pezzi nuovi ci vediamo un’oretta, suoniamo un quarto d’ora e il resto del tempo diciamo cazzate. Io questa freschezza sul palco la sento e cerco di trasmetterla. Poi, provo sempre a mettere in mezzo qualcuno che tra le prime file è più facinoroso o ha qualcosa di particolare. È divertente. La cosa principale è divertirci e far divertire, altrimenti questa cosa qui in particolare non avrebbe senso.

Direi che ci riuscite alla grande! Andando avanti, ti domando della collaborazione con Zerocalcare per il brano “Ipocondria”. Perché proprio lui?

Ho chiamato lui perché in primis è il mio fumettista preferito. Poi so che è un pazzo ipocondriaco e fortunatamente già lo conoscevo e così, visto che non mi sono mai fatto fare un disegnetto, gli ho chiesto di farmi il video. Inoltre l’ho beccato in una situazione di vita particolare in cui stava sempre in giro pure lui. Quando ha sentito il pezzo ha detto: “Questa è la mia vita” e siccome voleva imparare a fare animazione, ha colto l’occasione. Sono contento se gli ho dato uno spunto per il futuro.
Tra l’altro, ti dico una cosa che non ho detto ancora a nessuno: il 22 a Firenze facciamo insieme io un concerto e lui i disegnetti, ma il 24 lo facciamo anche a Roma. Recuperiamo la data che per il nubifragio di luglio ha fatto saltare il mio live. Lo facciamo a San Lorenzo, al Nuovo Cinema Palazzo.

Questa è una notizia grandiosa, visti anche gli ultimi tristi avvenimenti.

Infatti. Anche per questa cosa qui sono contento che ci siano dei posti che si fanno il culo per il quartiere. Quella è un’occupazione di quartiere dove c’è di tutto. Dalla vecchietta al ragazzino. Io a San Lorenzo ci sono cresciuto. Ho lo studio lì e ogni cosa l’abbiamo fatta là. Mi sembra il minimo fare qualcosa in questa situazione del cazzo e per ‘sta città di merda.

Io sono felicissima di apprendere questa notizia e di passarla ai nostri lettori. Ti confesso che ero presente durante il nubifragio al Forte Ardeatino e ricordo che un mio amico ti scriveva disperato in balia della trap sopraggiunta al tuo mancato concerto.

Quella è stata una giornata assurda. Tornavamo dalla data di Varese di cui ti ho parlato. Dopo dieci ore di furgone volevamo solo suonare e siamo stati fino all’1.30 a cercare di fare qualcosa, ma non è stato possibile fare niente. Una giornata da dimenticare che però, fortunatamente, possiamo recuperare il 24.

E in che modo aggiungerei! Visto che ti ho introdotto il mio amico, ti dico che lui è un grande romanista come te. E come me, del resto. A questo punto ti chiedo: cos’è il romanismo per Giancane?

È stare male. È una fede per cui sai già che starai male. È veramente una depressione, però fa parte dell’essere romanista, lo sai. È qualcosa che ci accomuna tutti. Noi, di sei che siamo, in tre stiamo proprio in fissa. Io ad esempio ho l’abbonamento in curva, il fonico gira sempre con la sciarpetta della Roma in qualsiasi città per cui c’è sempre qualche casino. Comunque fa parte di noi e anche se non in maniera spudorata è bello mettercelo in mezzo. Fa anche parte dell’essere di Roma. Una sofferenza che però produce bellezza e se non ci capiti in mezzo non lo puoi sapere. Ed è anche giusto che non lo si capisca. Poi, io ci provo a tradurre anche questo in musica.

Io lo sento particolarmente, ma capisco esattamente a cosa alludi. Prima ti ho domandato di Zerocalcare, ma “Ipocondria” vede anche il featuring di Rancore. Un altro ipocondriaco?

La cosa che ci doveva accomunare era proprio l’ansia e l’ipocondria, e devo dire che sono cascato benissimo a piedi pari. Io poi il rap lo ascolto da quando avevo 14 anni. Lo farei pure se lo sapessi fare. E ti dico che inizialmente doveva essere Danno del Colle der Fomento a fare il featuring. Tarek, Rancore, questa cosa la sa. Sai, anche per una questione anagrafica. Io ci sono cresciuto col Colle der Fomento e per me Danno è Dio. Poi è saltato tutto, ma è andata alla grande lo stesso. Subito dopo il Danno, ma nemmeno a uno scalino dopo, c’è Rancore. Lui è un grande talento. Secondo me esula anche dal rap, è proprio uno scrittore. Fa delle cose che esulano da tutto. Fa proprio letteratura. C’è “Sangue di Drago”, un pezzo dell’ultimo disco, che è formidabile. Io lui lo metto al pari di Fabrizio De André.

Invece quel mio stesso amico mi ha detto che a Pescara hai dichiarato che Gerry Scotti è il tuo acerrimo nemico. Ce lo confermi?

(Ride). È stato Claudio, il batterista. Però riflettendoci bene lo confermo. Mi fa paura, con quella faccia da buono. Mi sa di losco, non so. È proprio un democristiano brutto. Mi dà quest’impressione. Un po’ alla Satana dietro lo sguardo da buono. Vado a ruota libera…

E io ti ringrazio tantissimo per questo. Viro domandandoti qual è il concerto che Giancane non può perdere assolutamente.

In generale, proprio nella vita, direi Nick Cave. Oppure cose che non ho mai visto. Tipo gli Iron Maiden che sono venuti tantissime volte in Italia ma che io per una ragione o l’altra non ho ancora mai visto e loro li vorrei proprio vedere. Oppure, una reunion degli 883. Per il resto, ne ho visti fin troppi per lavoro e quindi per restare ad un concerto deve proprio piacermi.

Me ne puoi dire qualcuno cui sei rimasto?

Che ho visto ultimamente, mi è piaciuto tanto il concerto di Motta a Villa Ada l’anno scorso. L’ho visto tutto perché era tutto perfetto, si sentiva bene. Ed è raro che accada. Mi piacciono anche gli Zen Circus.

Invece, ci sono influenze cinematografiche o letterarie che vanno a finire dentro il tuo immaginario artistico?

Beh, non saprei dire nello specifico quanto queste influenze abbiano peso. Ascolto tantissima musica, ma non guardo molti film. A leggere, leggo. Ma solo cazzate strane. Ad esempio c’è un libro di un ragazzo che ho conosciuto che è una ricerca importante di gente assurda, di freak o assassini che lui in un italiano arcaico descrive e analizza. Mi piacciono le cose che non conosco, mi interesso più di robe sociologiche che letterarie, credo.

Visto che dei progetti futuri me ne hai già parlato, a questo punto ti lascio andare. Ti ringrazio tanto per la chiacchierata e ti chiedo di lasciarci con un tuo contributo che vada a ruota libera.

Intanto ringrazio te della rivista per quest’intervista. Poi, ne approfitto per salutare e ringraziare i musicisti con cui suono che si fanno un culo tanto ogni volta. Volendoli citare, sono: Claudio Gatta alla batteria, Alessio Lucchesi alla chitarra, Guglielmo Nodari alle tastiere, Michele Amoruso al basso, quella scheggia impazzita di Fisa che è Alessandro Marinelli e Jack che si accolla tutti noi. A presto!