Gold Mass, è un piacere averti qui su Music.it! Niente convenevoli, partiamo in quinta. Racconta ai lettori un aneddoto che ti è capitato nella tua carriera musicale! Più è imbarazzante e divertente, e meglio!
Beh, essendo la mia carriera musicale al suo inizio non ho ancora avuto modo di collezionare aneddoti che possano lasciar sbalordito qualcuno. L’unico retroscena che posso raccontare è come sono arrivata a lavorare con Paul Savage dei Mogwai, il che ha lasciato sicuramente sbalordita me! Il punto è che io non ho contatti o conoscenze particolari nel mondo della music industry, quindi quello che ho fatto è stato cercare sul web tracce che potessero ricondurmi ai produttori che avevano lavorato ad album che mi piacevano. Su internet si trova molto più di quello che si potrebbe immaginare. Ho inviato le demo pensando che non avrei mai e poi mai ottenuto risposta, e invece ho ricevuto l’interesse di alcuni produttori internazionali. Ho potuto addirittura scegliere la sensibilità professionale che più si avvicinava a quello che stavo cercando per il mio disco.
C’è qualche grande nome a cui ti sei ispirata? Del passato o del presente.
In verità, non approccio la composizione cercando ispirazione da altri autori, piuttosto quando scrivo non ho in mente niente se non il gusto personale e le mie emozioni. In genere scrivo al pianoforte e mi lascio trasportare dal suono e dall’armonia che sto improvvisando. Credo che sia più corretto dire che l’influenza degli altri autori è legata ad un meccanismo inconscio, che interviene nel momento in cui suono e scelgo cosa è buono o no di quello che sto creando. È qui che si svelano gli autori familiari al proprio gusto.
Nel tuo caso chi ha attivato il meccanismo?
Nel mio caso posso senz’altro citare il lavoro dei Blonde Redhead, Nick Cave e Lou Reed le cui sonorità scure ed inquiete hanno sempre parlato e risuonato in modo familiare con la mia natura. Non posso non citare Patti Smith che considero un esempio di grande femminilità carismatica e suggestiva. In genere resto colpita da tutte quegli autori che hanno espresso una verità tesa e malinconica, scura e confessionale. Ogni forma d’arte che nasce da questa cornice mi affascina assolutamente, per questo vorrei citare anche la ricerca fotografica di Francesca Woodman e la scrittura di Fernando Pessoa, i cui lavori hanno lasciato traccia nel modo in cui mi esprimo e mi racconto.
Ricordi cosa stessi facendo il giorno in cui ti sei detta «io voglio fare musica!»?
Non credo, ero una ragazzina. Probabilmente stavo suonando, credo fosse un giorno come un altro. Il punto non è tanto il momento in cui si sente di voler dedicare la propria vita alla musica, piuttosto tutto il percorso che si fa per arrivarci a essere cruciale. È possibile perdersi e mollare tutto. A volte sopraggiungono altre decisioni di vita, decisamente più importanti, per cui poi ci si dedica ad altro. L’importante è essere sempre in pace con sé stessi e vivere felici e consapevoli le proprie scelte sempre. Anche un musicista rinuncia a molte cose quando intende dedicarsi completamente alla sua vocazione, io personalmente lavoro senza fermarmi mai e mentirei se non dicessi che ho fatto e continuo a fare rinunce.
Lavori nel campo della fisica, ma hai la passione per la musica. In che modo Gold Mass riesce a creare il connubio tra i due mondi?
Il fatto è che i due mondi sono già intrecciati per loro natura ed io, per passione e per deformazione professionale, sono interessata ad entrambi gli aspetti. Gli studi nell’ambito dell’acustica e del trattamento dei segnali rendono più consapevoli in fase registrazione, elaborazione e diffusione del suono, sia questo di natura meccanica o elettronica. Il cantare stesso è un processo di generazione del suono al quale ci si può approcciare con semplice ingenuità e trasporto emotivo, o si può gestire in modo più consapevole conoscendo il meccanismo della fonazione e dell’amplificazione del suono tramite le risonanze.
Il tuo ultimo singolo è “May Love Make Us”, un brano che oscilla tra il criptico e il sensuale. Parlami di questa tua ultima creatura.
Credo che i miei testi risultino espliciti ed ermetici allo stesso tempo: dall’esterno si percepisce un certo grado di intimità ed intento di condivisione di riflessioni personali, ma può sfuggire il senso esplicito di quello cui si fa riferimento. La verità è che i miei testi hanno volutamente una doppia lettura, e chi ne conosce la chiave è in grado di decifrare perfettamente ogni dettaglio di quello che scrivo. “May love make us” racconta un amore tossico, fatto di promesse disattese, forti tensioni e contrasti violenti. È il punto di vista femminile di una relazione da incubo che si risolve inesorabilmente in un cammino di emancipazione e liberazione personale.
Pensi di avercela fatta con il tuo singolo?
Credo che “May love make us” sia un pezzo decisamente potente, oggi più che mai ne colgo questo aspetto con consapevolezza piena. La cosa più interessante tra tutte, che ho realizzato solo dopo la sua pubblicazione, è che il testo risulta essere chiaramente decifrabile dal pubblico femminile, senza bisogno di spiegazioni. Credo che questo sia un aspetto piuttosto impressionante ed indicativo e che personalmente mi emoziona molto.
Cosa non deve mancare a un tuo brano per essere definito come tale?
La tensione. E la confessione. La mia scrittura è sempre autobiografica, scrivo solo cose che vivo in prima persona ed intensamente. Non trovo interessante cantare frasi che non abbiano un significato nella vita di un artista, non lo trovo sincero. La componente interiore e personale per me conta in modo esclusivo. Quando scrivo, ho bisogno di sentire che quello che sto creando si porta via tensione ed inquietudini che accumulo e che riesco a placare momentaneamente attraverso il processo della scrittura. Per questo motivo, nei miei testi ricorre sempre un’attitudine alla confessione, al liberarsi di un peso per sentirsi finalmente sollevati.
Quando potremmo stringere il tuo album tra le mani?
Molto presto, prima dell’estate sicuramente. Personalmente non vedo l’ora e sto già gustando il momento da un po’ di tempo. Non resta che aspettare.
A proposito di questo album, hai collaborato con nomi importanti come Paul Savage per la produzione. Che tipo di esperienze ti porti dietro da questi incontri artistici?
Quella con Paul Savage è stata una bellissima collaborazione. Paul Savage è senz’altro un produttore di grande gentilezza, emotività ed eleganza. È stato fin da subito molto accogliente ed aperto all’ascolto. Ha voluto dare risalto alla mia personalità e scrittura. Dalla sua conoscenza ho avuto conferma dell’importanza che hanno le proprie radici quando si compone musica: nel mio caso, pur essendo il mio un album elettronico, è evidente l’attitudine alla melodia, che poi non è altro che una traccia dell’eredità italiana che nasce dall’opera lirica. Le proprie radici concorrono a rendere un lavoro autentico e riconoscibile tra altri.
Gold Mass, è il momento dei saluti. Grazie per essere stata su Music.it! Le ultime righe sono per te, usale come meglio credi salutando i lettori! Alla prossima!
Vi ringrazio moltissimo per avermi contattato ed offerto l’occasione di condividere con voi questo istante del mio percorso. Molto felice di essere vostra ospite! Un saluto a tutti.