La rocker Ira Green in una foto promozionale.
La rocker Ira Green in una foto promozionale.

IRA GREEN: “Essere donna e fare rock è una strada di più che in salita in Italia”

Ciao Ira! Music.it è lieta di ospitarti tra le sue pagine. Ti va di iniziare l’intervista raccontandoci l’aneddoto più imbarazzante, scabroso oppure folle che ti ha coinvolta nella tua carriera di cantante e musicista rocker?

Penso che se ne esistesse solo uno la mia vita sarebbe molto noiosa. Ne esiste un elenco lunghissimo. Ma si sa, quel che succede a IRAlandia rimane ad IRAlandia.

Tu sei nata e cresciuta nella provincia di Napoli. Mi chiedo sempre quanto conti la città natale in termini di ispirazioni e aspirazioni. Alla luce di quanto fai adesso, per te ha contato qualcosa?

Forse l’unica cosa che mi ha portato, vivere in una provincia del genere, è il carattere un po’ corazzato. Devi imparare a difenderti bene, da solo e spesso. Le ispirazioni iniziali, adolescenziali sì. Ma quello che faccio ora viene da ben altre esperienze succedutesi nel corso degli anni.

Vorrei che adesso ci raccontassi la tua storia. Com’è nata e si è evoluta Ira Green, la rocker più amata del momento?

Sono nata come una semplice ragazza della provincia di Napoli, con le mille insicurezze e il carattere aggressivo. Con le problematiche di una ragazza la cui vita non ha mai regalato nulla e nulla è stato così facilmente realizzabile. Ho dovuto combattere costantemente per creare una strada che mi permettesse di camminare come volevo io e la musica era la benzina che mi portava avanti. Mi ha portata fino ad oggi, dove il 30 Novembre è uscito il mio secondo album “7”, dove incredula ho collaborato con artisti come Cesareo ( chitarrista di Elio e Storie Tese), Federico Sagona (tastierista dei Litfiba e Noemi) e il tutto gestito dalle mani magiche di Fabrizio Simoncioni, che è un pezzo di storia della musica italiana rock e non. Non posso essere che soddisfatta di tutto il percorso, seppur tortuoso, che ho fatto.

Parlare delle influenze musicali che ti hanno forgiata sembra una domanda sciocca, essendo la tua produzione decisamente di stampo rock hardcore d’oltreocenao. Eppure, mi domando se esista un artista, che sia uomo o donna, che potrebbe stupire ogni aspettativa. C’è?

Forse solo gli ultimi due anni ho trovato qualcosa che mi potesse piacere. Non amo le voci femminili ed è difficile che apprezzi quelle italiane. Ma qualche artista italiano in questi due anni di scrittura mi ha aiutata parecchio a capire come addentrarmi in qualcosa che non avevo mai fatto.

Che effetto ti ha procurato l’essere stata scelta come giudice del Rock Feminino Festival che si è tenuto a Rio del Grande nel 2017?

È stata una delle emozioni più strane mai vissute. L’euforia era talmente tanta che cercai subito il modo di imparare il portoghese nel minor tempo possibile. Ovviamente con scarsi risultati, ma almeno qualcosa l’ho imparata. È davvero un bel modo di vivere la musica il loro. Un approccio molto energico ma allo stesso tempo rilassato.

Domanda bruciapelo: sei mai stata vittima di esplicito sessismo da che sei nel mondo della musica o dell’arte in generale? Vorrei ci dessi il tuo punto di vista rispetto questa condizione – vecchia come il cucco – in cui verte, ahimé, la società contemporanea.

Inutile negarlo. Essere donna e fare rock è una strada di più che in salita in Italia. All’inizio il problema potrebbe sembrare relativo solo al sesso di una persona, ma ora che l’Italia si è riempita di bambini col microfono in mano che giocano a fare i gangstar la situazione è più ridicola che analizzabile.

Parliamo adesso di “7”. Quando e come è nato?

“7” ha richiesto due anni di intenso lavoro. Mi sono chiusa in studio e ho cercato qualcosa che non cambiasse la mia impronta ma che arrivasse fresco e un po’ d’annata. Un ossimoro che in musica può sempre catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Dare due facce differenti e metterle sullo stesso volto. È un album che spoglia l’animo umano e invita a non credersi santi solo perché si evitano a tutti i costi degli errori. Siamo carne, sbagliare è umano. Puntare il dito è diabolico. È molto goliardico il mio approccio ai testi, ho cercato un modo leggero ma ben preciso di prendere in giro ogni categoria. I peccati sono raccontati dal peccatore stesso, che sbaglia, ma fa notare che puntare il dito non ci salva dall’inferno. Attualmente l’album è disponibile sul sito www.iragreen.it nella sezione shopping e su tutte le piattaforme digitali.

Trovo che la scelta di ispirarsi al “classico” per raccontare la contemporaneità sia tutt’altro che banale. Perché Ira Green ha scelto i 7 vizi capitali per il suo “7”?

Perché l’errore, il peccato, non sono le cose che ci rendono differenti. Anzi, ci mettono tutti sullo stesso piano.

Vorrei adesso che mi nominassi cinque album che reputi essenziali per la tua esistenza.

Ammetto, mio malgrado, che non ascolto quasi mai un album intero. In tutta la mia vita ne avrò ascoltati tre interamente. “Facelift” degli Alice in Chains – “Superunknown” dei Soundgarden – “Vulgar display of power” dei Pantera.

Abbiamo terminato. Ti ringrazio davvero per il tempo dedicatoci e ti chiedo, prima di lasciarci, di chiudere tu quest’ultimo passaggio e magari di illuminarci d’immenso. Stay rock! A presto!

Sono io a ringraziare voi. È sempre bello fare interviste con domande interessanti \m/

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