Ciao Gianmarco, diamo il benvenuto a te e al tuo progetto Itaca Reveski su Music.it. Rompiamo subito il ghiaccio, raccontaci un aneddoto imbarazzante sul tuo trascorso musicale.
Fortuna che me ne hai chiesto solo uno! Due anni fa ho suonato al “BellaStoria Fest”, ero in vece di chitarrista per Wrongonyou e quasi a fine concerto mi accorgo di avere la mano coperta di sangue e la chitarra con il battipenna bianco completamente sporca. Ogni tanto avevo incrociato qualche sguardo strano del pubblico, chissà da quanto tempo mi ero fatto male. Poi, una volta che me ne sono accorto, io e successivamente tutta la band abbiamo cavalcato l’onda e ho alzato le “corna” della mano sanguinante al cielo per farla vedere al pubblico… rido ancora quando ci penso.
Durante la tua lunga militanza nella scena metal avresti mai pensato di sfociare nel cantautorato che ci proponi oggi?
Quando si suona metal si pensa sempre che sarà per tutta la vita. Quindi la risposta secca è, no, non lo avrei mai pensato. Poi durante gli anni 2012/2013 ho cominciato ad ascoltare cose anche più soft e piano piano a scoprire il mondo dell’underground rock londinese, quello di Ben Howard, Biffy Clyro, Apparat ecc. Ovviamente il mio linguaggio musicale ne ha risentito molto.
“Nထvola” si apre con delle chitarre che ci ricordano John Butler. È stata la tua ispirazione per questo pezzo?
Allora, questa è una fantastica coincidenza. Ad oggi adoro John Butler ed “Ocean” è un pezzo unico e stupendo, che ti fa viaggiare in modo assurdo. Ma all’epoca del riff di “Nထvola” ancora non lo conoscevo, tant’è che feci un video su Instagram sul mio profilo personale mentre suonavo quel riff o uno molto simile (ora non ricordo bene) e qualcuno mi scrisse proprio «Mi ricorda “Ocean” di John Butler» ed io scoprii questo artista proprio grazie a quel commento.
Parlaci dei tuoi gusti musicali e delle influenze che questi hanno all’interno di Itaca Reveski.
Due miei artisti di riferimento sono Apparat e Bon Iver. Di Apparat adoro il suo modo di creare musica elettronica usando anche batterie acustiche e il modo in cui incastra i groove ritmici con le melodie, glitch e i suoni di synth, a dir poco un maestro. Di Bon Iver adoro l’uso che fa del vocoder e in generale il suo modo di trasmettere emozioni attraverso le scelte sonore nei pezzi e… i titoli folli che dà alle canzoni [Gianmarco ride, ndr.]. Poi posso dire che Jon Gomm è in assoluto il mio chitarrista acustico preferito, il riff di “Passionflower” è secondo me uno dei più belli in assoluto. Poi nel mio background ci sono tutta una serie di band come i Radiohead, i Placebo e gli Arcane Roots che mi influenzano anche se non ci penso.
Il modo in cui è suonata la batteria ci sembra invece un forte rimando al tuo passato heavy, è così?
Non è voluto, ma chiaramente i primi amori non si dimenticano mai. Mi piace molto come il beat di batteria di “Nထvola” suoni un po’ prog, ma allo stesso tempo anche fluido e scorrevole, cerco sempre di far sembrare semplici le cose un po’ più elaborate che mi vengono in mente, così da integrarle al meglio in un pezzo che, per quanto introspettivo e particolare, risulti in ogni caso scorrevole all’ascolto.
Raccontaci come è nata “Nထvola”!
“Nထvola” è un pezzo molto importante per me, è quello che mi ha ridato voce. Mi spiego meglio. Per motivi personali a fine 2018 non riuscivo più a scrivere testi o a cantare parole che uscissero da me. Un bel giorno di fine 2019 è successo che stavo scrivendo questo pezzo strumentale e le parole sono uscite da sole, non le ho neanche scritte su un foglio. Ascoltavo la canzone e cantavo, ho premuto REC e il testo di “Nထvola” era pronto. E’ stato magico. Il riff strumentale invece è nato da uno di quei momenti di improvvisazione quotidiana che faccio ogni giorno a casa, e generalmente è questo il modo con cui creo nuovi riff e arpeggi.
Qual è l’idea alla base del brano e quale messaggio vuoi che passi ai tuoi ascoltatori?
“Nထvola” parla di quei momenti in cui ho sentito una grande spinta ad andare avanti e allo stesso tempo delle corde che mi tiravano dietro violentemente. Durante questi momenti mi sono trovato in un “luogo” che sembrava anche piacevole, ma che a lungo andare rischiava di diventare una piccola gabbia felice e irreale. Si vede qualcosa di nuovo davanti, ma si è ancora seduti comodamente sul caro vecchio divano. Quel luogo metaforico per me è come una nuvola, un luogo di felice quanto pericolosa inconsapevolezza in cui si può perdere… o ritrovare. Più che un messaggio, a chi si sente così o si è sentito così, voglio dire con questo pezzo che non è solo, è un po’ il mio personale abbraccio musicale. Questo è il motivo per cui faccio musica.
Parliamo ora del tuo singolo precedente, “20:venti”, che è frutto di una collaborazione alquanto particolare.
Sì, praticamente in quarantena mi è venuta la folle idea di scrivere un pezzo con i miei follower di IG, proponendo riff di chitarra tramite le stories e facendoli votare. Accogliendo idee, emozioni, sensazioni ho messo insieme quattro testi e poi li ho fatti “sfidare” in un torneo con due semifinali e una finale. Dopo avergli dato un titolo in diretta IG, alcuni partecipanti hanno partecipato al video finale mandandomi le loro clip. Dopo un mese e mezzo di processo “20:venti” è uscito su Spotify, è stato fantastico!
A cosa stai lavorando attualmente? Progetti futuri?
Il 10 luglio è uscito il mio terzo singolo “Gdbye (0,0)” e dopo un mese di pausa ad agosto, farò uscire il quarto singolo a settembre. Questi pezzi anticipano un EP che verosimilmente sarà disponibile a novembre!
Gianmarco, aka Itaca Reveski, ti ringraziamo per essere stato con noi. Puoi rispondere ora a tutte quelle domande che non ti abbiamo fatto: questo spazio è per te, se ti va di aggiungere qualcosa!
Grazie a voi per lo spazio! Vi mando un saluto e chiedo a te che stai leggendo se ti va di darmi il tuo supporto seguendomi su Spotify, YouTube e Instagram. Grazie di cuore!