LA DISEDUCAZIONE DI CAMERON POST: un inno alla libertà sessuale
Una scena del film “La Diseducazione di Cameron Post”.
Una scena del film “La Diseducazione di Cameron Post”.

LA DISEDUCAZIONE DI CAMERON POST: un inno alla libertà sessuale

L’anno scorso “Chiamami col tuo nome” veniva presentato in anteprima al Sundance Film Festival, ottenendo consensi unanimi di critica e pubblico. Ora la Festa del Cinema di Roma accoglie in selezione un altro film che affronta il tema dell’omosessualità: “La Diseducazione di Cameron Post”. Nell’opera di Luca Guadagnino la storia omosessuale tra Elio e Oliver semplicemente accadeva sullo schermo, come un evento qualsiasi. La regista Desiree Akhavan sceglie invece di fondare l’impianto ideologico del suo film sulle ripercussioni che le tendenze omosessuali avranno sulla vita dei personaggi. Tuttavia, anche se da prospettive differenti, entrambi adottano una narrazione priva di toni predicatori. Ci troviamo in primo luogo di fronte a due storie che hanno per oggetto non tanto l’omosessualità in sé e le sue implicazioni politiche o sociali, quanto la maniera in cui essa definisce la personalità dei protagonisti e le loro esperienze adolescenziali.

“La Diseducazione di Cameron Post” segue la vicenda di una giovane liceale, interpretata da Chloë Grace Moretz, che viene spedita in una struttura religiosa di conversione dopo essere stata sorpresa nel bel mezzo di un rapporto sessuale con l’amica Coley. Il film è basato sull’omonimo romanzo di Emily Danforth ma ne traspone sullo schermo prevalentemente la seconda parte, ambientata all’interno del centro God’s Promise. È in questo luogo che Cameron entrerà in contatto con un ambiente fortemente repressivo, che utilizza metodi psicologici invasivi fondati sul senso di colpa di stampo cristiano. Quella messa in atto dalla Dott.ssa Lydia Marsh è una vera a propria terapia riparativa, finalizzata all’estirpazione di qualsiasi inclinazione non eterosessuale. Riportando un’immagine impiegata nel film, l’omosessualità è la punta dell’iceberg mentre la parte sommersa da correggere si compone dei traumi familiari e ambientali che hanno provocato la deviazione.

“La Diseducazione di Cameron Post” è un film che si focalizza sulla costruzione dei suoi personaggi e solo in seguito sugli elementi ambientali.

La regista, fin dai primi dialoghi, ridicolizza esplicitamente questo sistema riparativo, conducendo le convinzioni dei dirigenti di God’s Promise ben oltre i limiti dell’assurdo. La Dott.ssa Marsh e suo fratello si presentano come delle figure quasi comiche, vittime della presunta coerenza dei propri ragionamenti: l’omosessualità e l’abuso di droga sono entrambi peccati, ma i drogati non scendono in piazza a protestare per essere accettati, perché dovrebbero gli omosessuali? Non fa una piega. “La Diseducazione di Cameron Post” ondeggia così tra comportamenti grotteschi e i loro esiti inevitabilmente drammatici. La protagonista tuttavia, tra le mura di God’s Promise, incontrerà dei compagni che, come lei, non riusciranno a digerire questa dose massiccia di conservatorismo. Il legame tra Cameron, Jane e Adam è la principale fonte emotiva e comica del film. Il gruppetto di amici coltiva marijuana, si perde in chiacchiere esilaranti e reagisce perplesso ai deliri dei curatori.

Sono queste dinamiche che Desiree Akhavan si diverte a mettere in scena, descrivendo di riflesso le direzioni di un adolescente omosessuale gettato in uno spazio repressivo. L’abilità della regista risiede nel rivestire la narrazione di ironia pur non smorzando i toni della sua riflessione. Il film dimostra che al cinema si possono affrontare temi delicati e simultaneamente intrattenere lo spettatore. I dialoghi sono tra gli elementi che contribuiscono alla riuscita di questo proposito. Grazie a questi vengono esibite le resistenze del trio di ragazzi, che attraverso la parola e lo scherzo cementano il loro rapporto e Chloë Moretz si trova totalmente a suo agio in queste situazioni. “La Diseducazione di Cameron Post” è un film che si focalizza sulla costruzione dei suoi personaggi e solo in seguito sugli elementi ambientali, ricordando allo spettatore che non si trova a sfogliare un saggio di denuncia, ma ad osservare una storia ben strutturata.