BEAUTIFUL BOY racconta le storie di un padre e un figlio uniti nella dipendenza
Timothée Chalamet e Steve Carell in “Beautiful Boy” di Felix Van Groeningen.
Timothée Chalamet e Steve Carell in “Beautiful Boy” di Felix Van Groeningen.

BEAUTIFUL BOY racconta le storie di un padre e un figlio uniti nella dipendenza

Il belga Felix Van Groeningen ha raggiunto la notorietà internazionale grazie ad “Alabama Monroe-Una storia d’amore”, nominato ai Premi Oscar 2014 nella categoria Miglior Film Straniero. Dopo l’evento, come spesso accade in queste situazioni, Hollywood si è interessata alla mano europea del regista. “Beautiful Boy” è infatti la prima opera in lingua inglese diretta da Groeningen, presentata in selezione alla tredicesima Festa del Cinema di Roma. La particolarità del film è che si basa su ben due autobiografie, una firmata dal giornalista David Sheff e l’altra da suo figlio Nic. Entrambi i libri raccontano la tragica esperienza con la droga vissuta dal ragazzo, osservando da prospettive differenti il suo percorso dalla dipendenza alla sobrietà. Probabilmente il più grande limite della trasposizione cinematografica risiede nel non aver sfruttato pienamente questo doppio sguardo fornito dal materiale di partenza. Classico caso in cui un punto di forza si tramuta in occasione mancata.

“Beautiful Boy” elegge a elemento privilegiato non la complessità psicologica dei protagonisti, ma l’interpretazione degli attori.

I protagonisti del film, interpretati da Steve Carrel (David) e Timothée Chalamet (Nic), si dividono equamente il tempo sullo schermo, ma la macchina da presa si limita a riportare le manifestazioni del loro dolore. Nel caso di Nic, per esempio, il film non lascia mai trasparire le cause che lo hanno portato a sviluppare una dipendenza. Sebbene questa possa essere una scelta registica volontaria, di certo non ne giova la narrazione che finisce per risultare eccessivamente ripetitiva. Nic si droga, si ripulisce, poi torna nuovamente a drogarsi. Questa formula si ripete inalterata fino alla parte finale del film, che riserva dei cambiamenti, anche se tardivi, nell’atteggiamento di padre e figlio. Questo non basta a risollevare la sostanziale monotonia di “Beautiful Boy”, che elegge a elemento privilegiato non la complessità psicologica dei protagonisti, ma l’interpretazione degli attori che li animano.

Nessuno si sorprenderebbe nel vedere i nomi di Steve Carrel e Timothée Chalamet tra le file dei prossimi nominati agli Oscar.

Steve Carrel e Timothée Chalamet sono il punto forte del film. Entrambi si trovano in un periodo felice delle rispettive carriere e questa era l’occasione giusta per ribadirlo. Nessuno si sorprenderebbe nel vedere i loro nomi tra le file dei prossimi nominati agli Oscar. Nella prima parte di “Beautiful Boy” il legame tra i due funziona. David si preoccupa per la salute di suo figlio e non gli fa mancare nulla. Nic di contro non è convinto delle possibilità che gli offre la sua condizione agiata e cerca altrove le proprie soddisfazioni. Il ragazzo passa così dalla marijuana alla cocaina e infine all crystal meth. È a questo punto che la narrazione si incaglia e comincia a riproporre situazioni tragiche già viste nei primi trenta minuti. E se da un lato questo è utile a fornire a Steve Carrel tanto spazio per disperarsi e fare mostra delle sue doti attoriali, dall’altro rende lo spettatore assuefatto ad una drammatizzazione eccessiva.

“Beautiful Boy” in fin dei conti è un film semplice. Il racconto impiega una struttura lineare intervallata costantemente dai ricordi dei protagonisti.

Eppure le premesse per dirigere un prodotto valido c’erano tutte, a partire dalla possibilità di riflettere sullo sviluppo di una dipendenza in un contesto sociale lontano dalla povertà. Come si legge nella didascalia conclusiva del film, la dipendenza è una malattia e, in quanto tale, può colpire chiunque. Nic Sheff ha talento, una bella famiglia, una ragazza e ampie possibilità economiche. Sarebbe stato interessante approfondire lo scarto che lo ha separato dalla propria stabilità, piuttosto che trasformare l’abuso di droghe in un semplice dato di fatto. “Beautiful Boy” in fin dei conti è un film semplice. Il racconto impiega una struttura lineare intervallata costantemente dai ricordi dei protagonisti e si serve di buone interpretazioni. Di certo non verrà digerito da chi mal sopporta i toni accentuati del dramma, ma il suo difetto principale resta la sensazione che gran parte delle potenzialità espresse in principio siano state ampiamente disattese.