LA MUNICIPÀL: "Accettare se stessi significa soprattutto accettare l'altro"
La Municipàl ritratti in una foto promozionale
La Municipàl ritratti in una foto promozionale

LA MUNICIPÀL: “Accettare se stessi significa soprattutto accettare l’altro”

Oggi diamo il benvenuto su Music.it a Carmine Tundo, voce e ideatore del duo La Municipàl. Sciogliamo subito il ghiaccio con una domanda di rito: un aneddoto curioso legato al tuo rapporto con la musica.

Uno dei ricordi più belli che ho è il primo live con la mia primissima band che si chiamava la Cruska e suonavamo ska. Un momento direi romantico. Poi ovviamente negli anni ci sono stati diversi progetti, fino ad arrivare a La Municipàl che è quello che mi sta permettendo di esprimere la mia vena cantautorale.

Una curiosità riguardo a La Municipàl è che un duo formato non solo da un uomo e una donna, ma soprattutto da fratello e sorella. Riuscite a tenere fuori questo aspetto o invece ne fate proprio il punto di forza?

È nato tutto per gioco in realtà. E continua anche come un gioco anche se chiaramente adesso è tutto più strutturato. Inizialmente era un modo per stare insieme, perché mia sorella – e altra metà de La Municipàl Isabella viveva a Roma mentre io ero a Lecce. Praticamente il tour era l’occasione per stare insieme. All’interno della nostra band c’è questo equilibrio strano dovuto sostanzialmente ai nostri caratteri, per cui siamo quasi sempre d’accordo. La produzione musicale è totalmente curata da me, quindi è il live ad essere più simpatico.

Quindi i testi sono totalmente tuoi. Quale parte hai riservato a Isabella?

Isabella è un po’ la cartina al tornasole di quello che scrivo. Determinati brani, cantati da lei, prendono tutta un’altra forma e significato. Posso dire cose anche molto dure sembrando però molto più leggero perché la sua voce femminile va a smorzare i lati spigolosi. Diventa tutto molto meno pesante ed è una della cose che amo di più de La Municipàl: poter dire qualcosa di forte con delle canzoni che solo a primo a impatto possono sembrare spensierate.

Questo equilibrio tra serietà e spensieratezza si respira tantissimo in “Bellissimi Difetti”. Anche i titoli più scanzonati hanno poi dei testi più complessi e profondi.

Sono infatti molto felice di aver potuto, con questo album, trattare temi anche controversi. Ad esempio “Italian Polaroid” è una delle tracce più scanzonate, ma in realtà parla di aborto, un tema che in Italia è ancora un tabù. Ci sono diverse sfumature all’interno dell’album. Anche in “Finirà Tutto Quanto”, che poi alla fine è un brano che parla dell’accettazione dell’altro in un momento storico particolarmente importante.

“Bellissimi Difetti” arriva a due anni di distanza da “Le Nostre Guerre Perdute”, dove c’era già questo gioco tra superficie e sostanza. Qual è stata la crescita tra i due lavori?

Sicuramente “Bellissimi Difetti” è un lavoro più maturo perché nasce proprio in una fase della mia vita che è quella dei trent’anni. A livello di suono ho cercato di avvicinare la produzione al suono live della band, che all’inizio era completamente diverso, farli combaciare il più possibile insomma. La produzione dell’album così è in alcuni momenti più strutturato come se fosse già in live, perché poi fondamentalmente è da quel tipo di concepire la musica che veniamo tutti e perché la nostra attitudine dal vivo è più energica.

Dal punto di vista dei testi invece, quello che traspare da “Bellissimi Difetti” è la presenza di due grandi temi: l’importanza dell’individualismo e la politica. Qual è il filo che li lega all’interno dell’album?

Ci sono sicuramente alcuni brani che uniscono l’accettazione di se stessi a una sfera più politica. “Finirà Tutto Quanto” è un brano che ci va a spiegare che tutti i nostri problemi sono solamente passeggeri e che c’è chi se la passa sempre peggio. Significa anche cercare, soprattutto in questo momento storico, di non scaricare le nostre frustrazioni contro il diverso. È un disco figlio dei suoi tempi, che non sono certo dei migliori soprattutto per quelli della mia generazione. Quindi ho sentito la necessità di raccontare in piccola parte quello che sta accadendo.

È una cosa questa che si avverte molto in un brano come i “I Mondiali del ’18”. Un parallelismo strano quanto efficace, utilizzato per raccontare la condizione di una generazione senza possibilità.

È un brano che era già nato tempo prima, ma era come se mi mancasse qualcosa, il collante tra quello che volevo dire e il messaggio sonoro che era abbastanza scanzonato. Poi è successa quella cosa dell’Italia fuori dai Mondiali e di getto ho trovato la chiave. Ho rimesso a posto tutti i pezzi come se fosse un puzzle ed è stato anche un modo ironico di trattare il disagio della nostra generazione senza essere troppo pesanti.

I difetti a cui si fa riferimento infatti non sono solo quelli fisici, ma sono soprattutto tutti quei pezzi del nostro carattere che ci fanno accettare di essere fallibili, mentre poi viviamo in un mondo che ha delle aspettative incredibilmente alte.

Esatto, è proprio così. È poter accettare i propri difetti, sia caratteriali che spirituali diciamo. Accettare appunto di poter fallire in alcune cose. Quando siamo piccoli cerchiamo sempre di omologarci, di essere come gli altri per poter essere accettati. Poi da adulti, capiamo proprio che quello che ci rende diversi dagli altri ci rende sopra ogni cosa unici. Oggi è sempre più difficile cambiare, perché questa società tende a omologare tutti, soprattutto con l’avvento dei social che sparano informazioni facendoci sentire costantemente con gli altri, mentre in realtà siamo sempre più soli. Quello che occorre è un’accettazione di se stessi. Non è una rassegnazione ma capire che può essere tutto molto più semplice di come lo poniamo noi. Basta cominciare a spogliarsi di determinati schemi mentali, tornando a qualcosa di molto più semplice e sano.

Però, l’album si chiude con “Vecchie Dogane” dove sembra prevalere la voglia di andare via da un paese sempre più buio. Quello che manca in “Bellissimi Difetti” è allora la speranza?

Tendenzialmente di carattere io sono un po’ cinico. Ma La Municipàl è la mia parte più romantica quindi alla fine, quando c’è l’affetto, c’è sempre una parte di speranza. Il punto è che, qualsiasi cosa possa accadere, qualsiasi sia il tuo problema, prima o poi finirà e si apriranno nuove porte e una nuova vita da vivere.

È in programma un tour?

Si, ripartirà ufficialmente il primo maggio proprio a Roma per poi passare a qualche festival estivo. Stiamo cercando di fare un percorso differente rispetto a quello che abbiamo fatto prima. Con il primo album abbiamo fatto 250 date in qualsiasi posto fosse stato disponibile, soprattutto al Sud, anche in ambienti poco abituati al pop. Sono cambiate un po’ di cose, ci sono più impegni, quindi il tour questa volta sarà più strutturato e coprirà tutta l’Italia. In autunno saremo in qualche club e poi saremo impegnati in un mini tour all’estero per concludere il ciclo. Anche perché subito dopo uscirà il nuovo album che è già in lavorazione.

Siamo arrivati alla fine. Ti ringraziamo Carmine per essere stato con noi e averci tenuto compagnia. Facciamo gli auguri a La Municipàl per questo nuovo capitolo. A presto!

Grazie a Music.it per avermi ospitato. A presto.