La poesia di LONTANO DA QUI ci porta in una storia ricca di contraddizioni
Il piccolo Parker Sevak e Maggie Gyllenhaal nei panni di Jimmy e Lisa in “Lontano da qui” di Sara Colangelo.
Il piccolo Parker Sevak e Maggie Gyllenhaal nei panni di Jimmy e Lisa in “Lontano da qui” di Sara Colangelo.

La poesia di LONTANO DA QUI ci porta in una storia ricca di contraddizioni

“Il mondo ti schiaccerà, Jimmy. In due anni, ti verrà fatto”

“Lontano da qui” è l’ennesima distribuzione Netflix per l’America ed ennesimo rifacimento americano di un film saccheggiato nel mondo. Ma questa volta dobbiamo ringraziare l’estensione di visibilità che, onestamente, solo un prodotto anglofono riesce ad assicurare, garantendo a piccoli film meritevoli platee più ampie. Della regista italo-americana Sara Colangelo, è il remake – nel suo titolo originale “The Kindergarten Teacher” – dell’omonimo film israeliano di Nadav Lapid visto a Cannes nel 2014. Questa riproposizione, presentata al Sundance Festival, tralascia il contesto mediorientale della prima versione per nobilitare i tanti significati della storia narrata. La regista preserva l’intimità del racconto e della forma lasciando allo spettatore il compito di ripensare e approfondire gli spunti di riflessione disseminati ovunque. Il risultato è un’opera orgogliosamente indipendente che si rinnova in un contesto globale, allusivamente capitalista. Un film più efficace nel comunicare il proprio potenziale tematico e, indubbiamente, grazie anche alla sorprendente credibilità del giovane interprete.

In “Lontano da qui” tutti sembrano ostinati a conformarsi, a contraddire i desideri liberali di Lisa.

Lisa (Maggie Gyllenhaal) è una maestra d’asilo di Staten Island da vent’anni. Benvoluta dai suoi bambini e stimata dai genitori, la donna porta avanti la sua professione con devozione e passione. Un paio di sere a settimana Lisa frequenta un corso di poesia tenuto da Simon (Gael Garcia Bernal), un carismatico insegnante più interessato a lei che ai suoi componimenti neppure così brillanti. Persino suo marito (Michael Chernus), sebbene sia diligentemente solidale, non è convinto dei suoi versi. Lisa ha bisogno di riempire la propria vita sempre più scarna. I due figli sono grandi e completamente presi dai loro progetti. La figlia (Daisy Tahan) raramente alza lo sguardo dal cellulare, mentre suo figlio (Sam Jules) pianifica di arruolarsi nei marines. In “Lontano da qui” tutti sembrano ostinati a conformarsi, a contraddire i desideri liberali di Lisa e nessuno comprende il suo bisogno di crescere umanamente e intellettualmente.

Un giorno si accende una luce nella sua grigia esistenza. Lisa sente uno dei bambini, Jimmy (Parker Sevak) comporre ad alta voce una poesia di incredibile maturità mentre cammina su e giù per la classe in una sorta di trance. La cosa si ripete e Lisa, colpita dall’unicità di quei momenti, cerca in tutti i modi di prolungarli annotando i componimenti del bambino. È a questo punto che “Lontano da qui” si incammina su un sentiero di ambiguità ripetute, affascinanti e  triviali, in grado di porre lo spettatore a una distanza oscillante tra l’empatia e il rifiuto. Da un lato c’è l’intento nobile di Lisa di coltivare il talento eccezionale del piccolo Jimmy, dall’altro c’è un istinto approfittatore che la porta a spacciare per sue le poesie del bambino. La donna, bisognosa di una qualche eccezionalità nel mondo, coglie del genio nel piccolo e, per estensione, se ne appropria.

“Lontano da qui” si incammina su un sentiero di ambiguità ripetute, affascinanti e  triviali.

Un’appropriazione scorretta ma necessaria praticata in azioni velate da una gentilezza guasta, da una premura fastidiosa, e che ci spingono a dubitare sempre della loro adeguatezza morale. “Ho una poesia. Ho una poesia”, Jimmy annuncia l’ispirazione, presumibilmente inconsapevole del senso di ciò che dirà e della sua importanza. Ma Lisa no. Lei legge in quei versi sfuggenti un valore irrinunciabile, anche a costo di rinunciare a se stessa. Il piccolo poeta diventa il centro della sua vita. Dapprima cerca di far comprendere le doti del bambino a suo padre, ma l’uomo è troppo impegnato nel lavoro per interessarsi a un talento non spendibile e, soprattutto, difficilmente monetizzabile. Perciò Lisa se ne fa carico volentieri, nutrendosi della genialità del suo alunno per ridare slancio alla propria esistenza. Ma questo non è un mondo per i poeti: lo sappiamo noi, lo sa Lisa e lo saprà, infine, anche Jimmy.

“Lontano da qui” – titolo che, come di rado capita, batte l’originale – è un tentavo di fuga fallimentare dal suo primo passo. Un incidente al rallentatore in cui le azioni di Lisa sono sempre da interrogare e da riqualificare nel significato, ma che mai sembrano finalizzate a un tornaconto personale. A un certo punto tutto il racconto somiglia all’allegoria di una possibile resistenza, una fragile barriera contro l’onnipresente priorità dell’utile e del pragmatico. L’ambientazione stessa, pur individuata nella cultura americana, non è messa in scena come un microcosmo rappresentativo ma come uno spazio invaso dalla società. Una riserva in cui è nata un piccolo genio da custodire. Lisa però non è una combattente, ma un’osservatrice senziente del mondo che conduce la vita con eleganza discreta. Eppure la calma adatta alla sua professione ben presto si fa ingannevole, perché la riscoperta dell’importanza dell’arte la inquieta fino a spingerla troppo oltre.

“Lontano da qui” – titolo che, come di rado capita, batte l’originale – è un tentavo di fuga fallimentare dal suo primo passo.

Sara Colangelo infonde nel ritmo narrativo l’euforia pericolosa del personaggio. Il film assume una forma corrispondente al vicolo cieco verso cui si dirige la protagonista. La regia trasmette impressioni soggettive, impressionistiche e sperimentali. Cercando la vicinanza ai personaggi con primi piani esagerati anche la cinepresa è fisicamente coinvolta, spintonata e sfruttata. Lo spazio del racconto è quello di un’esperienza che minaccia sempre di fallire e, al contempo, è indispensabile. La poesia non è solo stile, perché le parole vogliono essere sentite e sofferte. A Lisa non basta che i suoi figli abbiano successo nella vita ma vorrebbe che si appassionassero a qualcosa che non fosse soltanto la certezza di una normale vita sicura. Così, l’immagine finale di Jimmy, solo, in macchina, che annuncia una nuova ispirazione senza essere ascoltato, suggerisce amaramente quanto le paure di Lisa per l’arte e la sensibilità in un mondo che si sta irrigidendo fossero legittime.