LEI, (NO) INNOCENCE: “Musica e visuals sono al servizio di un concetto astratto”
I membri del progetto di ricerca Lei, (No) innocence in uno scatto promozionale
I membri del progetto di ricerca Lei, (No) innocence in uno scatto promozionale

LEI, (NO) INNOCENCE: “Musica e visuals sono al servizio di un concetto astratto”

A ognuno i suoi riti. Noi di music.it chiediamo sempre agli artisti di spogliarsi attraverso un episodio particolare della propria vita artistica. Gabriele Chiné, raccontaci un aneddoto senza il quale i Lei, (No) innocence non sarebbero ciò che sono oggi!

Ci sono stati diversi momenti. Il progetto almeno in una prima fase era molto cerebrale, nel senso che ci limitavamo a discutere senza produrre una singola nota. Una volta messi bene a fuoco tutti i concetti che ci interessava esplorare abbiamo lasciato tutto e ci siamo concentrati solo sul disco, colti da un’immersione totale. È stato logorante e abbiamo perso molto. Ciò che so di certo è che molte di quelle cose che avremmo voluto rappresentare, abbiamo finito per viverle. Quanto di tutto questo sia finito impresso nel disco, non saprei dirlo. Forse solo un riflesso.

Come nascono i Lei, (No) innocence? Quale è il significato che sta dietro il vostro nome?

Era importante, per quanto ci riguarda, infondere un senso estetico a tutti gli elementi che avvolgono il progetto. Inoltre tutto deve suggerire qualcosa prima ancora che ci si avvicini all’ascolto vero e proprio. Il nome, una copertina, anche solo le parole spese per presentare il disco. Nell’era pre-streaming erano tutte cose che, se curate, permettevano un approccio più personale e ragionato a qualsiasi opera. Dal momento in cui non ci si sofferma più, per vari motivi, tutti questi aspetti sono venuti meno. A prescindere da qualsiasi genere o sottogenere, il nome è più indicativo del percorso che abbiamo intrapreso. Sul suo significato preferirei non svelare nulla.

Quanto i vostri luoghi di nascita hanno influito sui contenuti che riversate nella vostra musica?

Non molto, direi. Chiaro che in una qualche misura possano avere influito. Viviamo a Bologna da più di 10 anni e questi sono i luoghi da cui siamo maggiormente influenzati in questa fase della nostra vita. Certo, venire da una piccola realtà aiuta a non dar nulla per scontato.

Se ti dicessi la parola “maestri”, chi ringrazierebbero le vostre menti?

Durante la lavorazione di “Innocence” abbiamo letto diversi autori. Citerei Proust, Celati, Tolstoj, Kierkegaard, Dostoevskij. Abbiamo visto film di Antonioni, Tarkovskij, Kieslowski, Wiene e Kirsanoff. Per citare autori più recenti, “Madre!” di Aronofsky mi ha impressionato particolarmente. Ha diverse chiavi lettura, ma è anche una fotografia nitida della società attuale. Per quanto riguarda il comparto musicale, abbiamo ascoltato gli gli Unmade Bed, gruppo di Firenze non più in attività, di cui fa parte Vincenzo Zingaro, che oltretutto ci è stato sempre molto vicino durante diverse fasi. Consiglio il disco “Mornaite Muntide”, registrato in binaurale all’interno della chiesa sconsacrata di S.Giusto a Gualdo. Poi Ryoji Ikeda, Penderecki, Basinski, Ligeti.

Impossibile non chiedersi se in “Innocence” sia il lato visual a generare la musica o il contrario… Chi ha priorità causale su chi? Chi c’era in origine?

Si tratta di una mutua collaborazione. La parte musicale è stata ultimata prima ancora di completare il montaggio dei visuals e dei video. Ma durante la lavorazione avevamo bene in mente la controparte visiva, che per forza di cose ha assunto un ruolo fondamentale, seppur non predominante. Forse sarebbe più corretto dire che il tutto era al servizio di un concetto più astratto, ma ben definito.

Darsi in pasto al pubblico con un’opera prima in cui la musica è così strettamente connessa al visuale (per giunta pornografico) è una scelta audace e meravigliosa. Qual è stata la risposta del pubblico? Che tipologia di ascoltatori avete raccolto con quest’entrata prepotente?

Dal vivo stiamo portando questa performance A/V piuttosto esplicita nei contenuti. La risposta è stata più che positiva e ci ha fatto molto piacere poterlo constatare. L’accostamento è forte e può rivelarsi un’esperienza intensa per alcuni. D’altronde non era nostra intenzione provocare. Le componenti audio e video sono strettamente legate e si svelano l’un l’altra. E poi sicuramente entra in gioco la percezione. Abbiamo investito molto nel creare diversi sottostrati, piccoli dettagli, a tal fine. Come abbiamo già avuto modo di chiarire diverse volte l’aspetto più perverso riguarda la lavorazione, il “dietro le quinte”.

Legare a doppio filo la musica alla pornografia non è necessariamente una scelta identitaria. Di certo, però, dà una connotazione maggiormente impegnata al dark ambient che risuona da “Innocence”. State inaugurando una linea diversa per l’ambient?

Il legame non è casuale. Ma non ci siamo imposti dei riferimenti precisi per quanto riguarda il suono del disco. Ciò che ci interessa maggiormente è portare avanti un discorso personale. Il concetto di ambient è piuttosto vago e sicuramente lontano dai presupposti fondanti del genere stesso. L’aspetto più interessante della questione è questa sensazione di avvolgimento che, quando il volume lo consente, non lascia scampo allo spettatore. Il porno, a parte i risvolti concettuali, ingabbia, se possibile, ancora di più, e rende difficile distogliere lo sguardo. È un discorso che ci interesserebbe approfondire e che va di certo perfezionato.

È passato un po’ dall’uscita di “Innocence”. Potete anticiparci qualcosa circa una vostra prossima uscita? Quali sono i vostri progetti per il futuro?

In questi mesi stiamo registrando un EP che dovrebbe uscire in autunno. Il suono risulta più abrasivo, per quanto si tratti di una prosecuzione di un discorso già intrapreso, incisivo ed estremo. Dovrebbe intitolarsi “Solitude is the playfield of Satan”, che in realtà è già il sottotitolo di “Innocence”. Si tratta di una citazione di Nabokov.

È giunto il momento dei saluti. Quest’ultimo spazio è come una pellicola vuota: sta a voi riempirla di suoni e di immagini.

Constatiamo con terrore l’ascesa del buonismo politicamente corretto di stampo americano anche in Europa. Un virus da cui gli ambienti artistici dovrebbero essere immuni, oltre che in grado di intercettare. Purtroppo non è così. Per il resto ti prendo alla lettera. La foto è stata scattata nel 1961 da William Klein a Tokyo. Questa è la colonna sonora che deve accompagnarla