LITTLE SOMETHING - La semplicità non è un gioco per bambini
Una foto di scena di "Little Something".
Una foto di scena di "Little Something".

LITTLE SOMETHING – La semplicità non è un gioco per bambini

A volte il poco poco è l’opposto del niente. Un piccolo qualcosa è ciò che siamo, sebbene siamo chiamati a trascenderci con mezzi ordinari per arrivare allo stra-ordinario. “Little Something” è uno spettacolo che vuole unire linguaggi trasversi per raccontare la costruzione di un essere alla scoperta dell’amore. La coreografia di Loredana Parrella trae spunto dall’omonimo racconto dello scrittore francese François Garagnon. Un piccolo sentimento che voleva diventare un amore senza fine, recita il sottotitolo del testo originale. Il racconto pedagogico è incentrato sull’autodeterminazione del sé in seno all’idea di Eterno, in contrapposizione alla cultura dominante dell’immediatezza.

La protagonista del testo di François Garagnon e dell’opera di Loredana Parrella è “un piccolo slancio d’amore”, e appare in scena con gli attributi iconografici di un Cappuccetto Rosso. Guidato dalla voce fuori campo di Enea Tomei, il corpo adulto e bambino insieme di Elisa Melis attraversa diverse dimensioni di gioco ed esplorazione degli altri-da-sé personificati dal resto della compagine danzante.

“Little Something” coglie una poetica semplice e fiabesca ma pecca forse di eccessiva semplicità compositiva.

L’immagine iniziale del testo di François Garagnon è quella di una stazione del metrò parigino, luogo per eccellenza dell’incontro-scontro col diverso come corpo-ingombro. Nel grigio flusso identitario della società conformante, l’individuazione del personaggio nella messa è assicurata da figure archetipe come l’Avventuriero del Banco-di-tutto-il-Possibile, il Riparatore del Tempo Perso, il Giardiniere d’Amore, la Sorgente Pura, il Soffio d’Invisibile. Sono chiavi per entrare attraverso gli occhi del bambino in una dimensione dell’amore come scommessa sul vuoto. Perché solo il bambino non ha paura della morte, quella presenza obliosa che non ci fa mai “trovare le chiavi” del senso dell’esistenza.

La coreografia si gioca dunque su una sorta di girotondo che mette in scena l’incontaminata giocosità del movimento non-istruito, ruotando ipnoticamente intorno ad oggetti simbolici, come il banco di scuola. Gli oggetti di scena sono indagati nella loro semplice fisicità con un movimento che ne sacralizza la presenza. L’aura magica che ne deriva tematizza il rapporto con la dimensione sacrale dell’amore: una valigetta con ali di putto migra sulla scena e, quando è schiusa, emana brani eterogenei di citazioni filmiche.

Il corpo adulto e bambino insieme di Elisa Melis attraversa diverse dimensioni di gioco ed esplorazione degli altri-da-sé.

Se senza dubbio lo spettacolo coglie una poetica semplice e fiabesca, pecca forse di eccessiva semplicità compositiva: si avverte una certa planarità coreografica. Al contempo la traduzione del testo perde il lirismo della lingua originale, senza alcun vantaggio per l’incisività della parola che resta appesa ad un registro puerile. Né si può dire che la voce narrante imprima particolare carattere al tema che dovrebbe trainare e commentare la coreografia. Nemmeno le doti attoriali di gruppo sono sembrate, in generale, in grado di supplire alla liquidità coreografica.

L’intento poetico di “Little Something” in questa versione diretta da Loredana Parrella è insomma ragguardevole, ma l’esito scenico fluttua indeciso fra lo spettacolo per l’infanzia puro e semplice e la provocazione ad un pubblico adulto. Che però richiederebbe elaborazione coreografiche e concettuali ben più ponderose. Soprattutto per parlare di un tema, quello della semplicità, che giocoforza lambisce il suo gemello cattivo: la banalità.