Do il benvenuto ai Lo-Fi Poetry su Music.it. Ragazzi per iniziare presentatevi ma specialmente presentatemi la vostra mascotte di pelouche.
Ciao, sono Taps, ho 33 anni, e mascotte suona un po’ offensivo. Sono il manager della band.
Perdonami Taps, non potevo immaginare. Raccontatemi come nasce il progetto Lo–Fi Poetry, e di chi è stata l’idea che ha dato vita a tutto?
Scusaci, Taps tende a mettersi sempre in mezzo, vuole controllare tutto. Il progetto nasce ormai parecchi anni fa dall’idea di Federico Specht e Marco Matteazzi (ossia noi, che abbiamo ora il controllo della tastiera) di mettere in musica gli scritti, sparsi su foglietti sgualciti in brutta calligrafia, di Massi Milan, il nostro poeta bello e maledetto.
Avrete sicuramente in comune generi e artisti ai quali vi ispirate, ma quali sono invece quelli che non sopportate l’uno dell’altro?
Che bella domanda! Federico ha un’avversione viscerale per il primo vero amore di Marco, “uno dei gruppi più schifosi e flosci della storia della musica, e poi la chitarra non si suona con tre dita”. Insomma, i Dire Straits. Massi non capisce l’ultimo grande amore di Marco e Federico, Frah Quintale. Marco e Massi possono sempre prendere per il culo Federico per la sua malcelata anima metal.
Ascoltando il vostro album è chiaro come effettivamente il vostro sia un “non” genere, che mescola il grunge anni ’90 a sonorità più moderne, quasi indie. Credete di aver trovato la giusta chiave per aprirvi qualche porta?
No, diremmo di no, i risultati parlano da sé. Ma sulla soglia dei quarant’anni siamo fiduciosi, continuando a lavorarci. Forse dovremmo fare un album di genere, pensavamo alla trap, Massi permettendo. Forse così Rockit…
Bella risposta! Parliamo di suoni in studio e suoni live: preferite il calore del pubblico o l’intimità della sala di registrazione?
Risposta seria: il nostro sogno è ricreare dal vivo il sound che riusciamo a buttar fuori in certe serate di grazia in sala prove. Non ci siamo ancora riusciti al 100%, vorremmo riuscire a trasmettere quell’emozione totale al pubblico, senza tenerla per noi.
Parlando di scena underground italiana, ultimamente sembra che la situazione si stia risollevando con tantissimi artisti che stanno ottenendo consensi positivi. Strada giusta da seguire o semplice moda?
Altra risposta seria: c’è tanta moda e in mezzo anche tanta qualità. Ci sono artisti che stanno davvero rinnovando il modo italiano di fare musica, bisogna essere aperti (e a volte coraggiosi) e saper leggere le innovazioni. L’ultimo Sanremo è stato indicativo di questo bel mood, per noi è stato il più interessante degli anni 2000. D’altro lato, in certi contesti l’esaltazione del nuovo indie raggiunge livelli parodici, pensiamo a Rockit, ad esempio.
Avete già idee sul futuro dei Lo-Fi Poetry? Magari un album già in cantiere o qualche tour, date qualche anticipazione ai lettori.
I concerti li stiamo facendo proprio in questo periodo, anche se non possiamo parlare di un vero e proprio tour, ancora non abbiamo capito come fare a organizzare un tour. Quest’estate cercheremo di ritagliarci dei weekend per scrivere un vero e proprio album, finalmente. E di risolvere una volta per tutte le questioni genere / non genere, stile / non stile.
Domanda di rito: quale è la canzone che non vorreste mai aver scritto e invece quale quella che vorreste fosse stata vostra?
Avevamo un gruppo prog metal ai tempi del liceo del quale vorremmo non aver scritto 3/4 della produzione. Da lì in poi tutto sommato abbiamo potuto camminare a testa alta. Vorremmo tutti essere stati Kurt Cobain mentre scriveva “Smell like teen spirits”.
È stato un piacere poter fare due chiacchiere con voi e specialmente con Taps. Come sempre vi lascio qualche riga in bianco per dire ciò che preferite ai lettori. A presto!
Taps: ok, perdonato, anche per me è stato un piacere.
Lo-Fi Poetry: Bravo Taps. Care adorabili lettrici, vi aspettiamo ai nostri concerti, afterparty da paura assicurato!