Ciao Ma.Mi! È un piacere averti qua. Partiamo subito in quarta: vogliamo sapere qualcosa di te che non hai mai raccontato ad anima viva.
Ciao, il piacere è tutto mio! Prima di rispondere vorrei ritagliare un piccolo spazio per ringraziare Music.it per il lavoro che svolge e la serietà con cui lo fa. Possono sembrare i soliti convenevoli composti di frasi fatte, ma da parte mia queste parole sono davvero sentite, e ci tengo a dirle subito, quando il livello di attenzione è alto! Detto questo, diamoci dentro!
Grazie davvero, apriamo le danze!
Con la prima domanda mi metti già in crisi. In realtà non credo di avere segreti; o meglio, ne ho qualcuno, ma condiviso almeno con una persona o due. Nonostante io abiti da solo e stia bene con me stesso, la solitudine mi spaventa, se la immagino a lungo termine. Forse per questo tendo a raccontare senza troppi problemi quello che mi succede, per creare una connessione con qualcuno che potrebbe aver vissuto la mia stessa esperienza.
Un punto di vista interessante.
Comunque una cosa penso di averla: da bambino ero molto sensibile, e spesso la sera mi saliva una specie di tristezza mista a paranoia, come un senso di colpa generale nei confronti dei fatti di cui sentivo parlare o dei quali ero testimone. I miei lo chiamavamo “nervoso della sera”. Mi prendevo male se mi capitava di ripensare alla zingara incontrata il mattino che chiedeva l’elemosina, o al cane randagio visto il pomeriggio. Non ti dico lo shock quando ho sentito per la prima volta la storia della piccola fiammiferaia!
Cosa spinge un batterista punk-rock a buttarsi nel mondo del rap? Il bisogno di comunicare e esprimersi annienta le barriere fra i generi?
Nel mio caso la passione per il genere pop/punk, in particolare per la batteria, e quella per il rap sono nate quasi di pari passo. Sono state entrambe latenti per un po’, e inizialmente nessuna prevaricava l’altra. Credo che ad accomunarle ci sia il fatto che in entrambi i casi si ha a che fare con suoni ripetitivi: da una parte il ritmo di tamburi e piatti che tengono il tempo, e dall’altra dei loop campionati. Alla lunga la cosa può risultare noiosa, ma io la trovo quasi rassicurante. Per me è come se i suoni fossero dei paletti da seguire in un percorso, all’interno del quale puoi fare tutto ciò che vuoi, a patto di stare dentro le regole non scritte del gioco. Grazie alle amicizie maturate è venuta a galla la passione per il mondo del rock, che ha oscurato l’altra per quasi tutta la mia adolescenza.
Quanto è durato quel periodo?
Si è concluso nel 2012, quando le cose con la mia band hanno smesso di funzionare. Pareri divergenti hanno portato ogni membro su una strada diversa, ed io mi sono trovato solo, ma con la stessa esigenza di fare musica. Quindi mi sono riavvicinato all’hip-hop, un mondo in cui anche da solista ho potuto portare avanti i miei progetti. A posteriori forse è stato meglio così, sono decisamente più abile come paroliere che come batterista.
Chi ha segnato il tuo percorso? A quali artisti devi dire grazie, oggi?
Nel paesello in cui vivevo, negli anni ’90 e nei primi 2000 non era così facile entrare in contatto con qualcosa di diverso dalle tendenze pop del momento quindi per anni sono stato come in una campana di vetro. Ma ci sono senza dubbio almeno tre dischi che mi hanno condizionato. Il primo è “The Marshall Mathers LP” di Eminem. Non ricordo come ne sono entrato in possesso, né quando, forse grazie a un cugino, ma ricordo di aver letteralmente consumato quel cd masterizzato fino a renderlo illeggibile. Cantavo tutte le canzoni, pur non conoscendo una sola parola, con un inglese inventato, pronunciando le frasi con assonanze.
Che altro?
Il secondo disco è “Domani Smetto” degli Articolo 31. Era la primavera del 2002, avevo 14 anni e mi trovavo ad una cena pallosissima in una specie di agriturismo, quando ho fatto amicizia con un ragazzino poco più piccolo di me, che mi ha invitato a bordo dell’auto dei suoi per farmi sentire un cd nuovo fortissimo. Quando l’ho ascoltato, è stato subito amore per gli Articolo 31. Sono sceso da quella macchina elettrizzato. Non ho più rivisto il ragazzino di quella sera, ma ho comprato la discografia della band.
E allora vai col terzo!
Il terzo disco è forse quello che mi ha cambiato più la vita. Molti hanno un album del genere: è quello che quando lo ascolti da teenager ti fa iniziare a imitare i tuoi idoli nel modo di vestire e nel taglio dei capelli, quello che rende a pieno il concetto di fan inteso come diminutivo di fanatic. Quel disco l’ho conosciuto grazie a mia madre, che un giorno mi ha portato a casa una rivista di musica che ne annunciava l’imminente uscita. Sono rimasto colpito da due cose: il fatto che mia madre mi avesse comprato la rivista, e dalla band in copertina, i blink-182 con “Take Off Your Pants And Jacket”.
Uscirà presto “Il Rappavone”, il tuo primo full lenght album, seguito de “Il Rappagallo” del 2013. Parlaci del nuovo progetto e di questa ossessione per i pennuti.
(Ride, ndr). Dunque, “Il Rappagallo” è stato il mixtape con cui ho esordito, adottando il nome d’arte di Ma.Mi, e il titolo è dovuto a due cose: una canzone presente all’interno del disco in cui nomino diversi animali, ed il concept della copertina, ossia una banderuola a forma di gallo su un tetto, con la luna sullo sfondo che combacia col becco, ingigantendolo sproporzionatamente. Il rappagallo ero io, e avevo un sacco di cose da urlare al mondo, da lì il bisogno di una bocca grande quanto un satellite.
Un volatile particolare.
Fin dal principio il gioco di parole mi è piaciuto molto e ho pensato di replicarlo ancora prima di iniziare a concepire Il Rappavone. In questo caso in copertina ci sarà per l’appunto un pavone, con la coda abbassata; un animale bellissimo, che può stupire e ammutolire tutti grazie alle sue fantastiche piume, ma che non ostenta il suo dono così facilmente. In fondo sa bene di essere di essere un figo e, sotto sotto, lo sanno anche gli altri. Il disco contiene un po’ di tutto: beat campionati dai vinili, beat digitali, canzoni con vari temi, dai più seri ai più scanzonati. In una parola direi che è variopinto, come le piume del pavone, appunto.
Quando potremo ascoltarlo?
Uscirà prestissimo su tutte le piattaforme digitali e in qualche copia fisica, e arriverà a 4 anni di distanza dal mio primo lavoro. Parecchio tempo, che però mi ha portato a essere più consapevole ed affinare la mia tecnica. Sicuramente il mio prossimo lavoro non ci metterà così tanto per venire alla luce, e magari chissà, potrei chiudere il gioco del titolo del disco con una trilogia. In fondo non solo quei pennuti iniziano con la lettera P…
Il mondo del rap è in costante mutamento. Hai deciso di intraprendere la strada classica, fatta di campionamenti e flow incalzante, avvicinandoti all’old-school. Una scelta che, paradossalmente, rende i tuoi lavori freschi e diversi da ciò a cui siamo abituati. Seguire le mode non fa per te?
Direi di no, per lo meno non ora. Da ragazzino ne ho vissute parecchie, ma spesso sono andato controtendenza, solo per seguire il mio personalissimo gusto. Ricordo che io e un mio caro amico a 13 anni avevamo comprato un paio di stivali texani con parti pitonate. Erano scomodissimi, e tutti ridevano di noi quando ci vedevano. Come biasimarli! Eppure noi li indossavamo sempre con orgoglio. In generale, spesso la gente adotta determinati atteggiamenti con due possibili intenti: conformarsi alla massa o distinguersi da essa.
E nella musica?
Nel caso della musica scrivere è quasi un’esigenza per me. Mi aiuta ad esternare parecchie delle sensazioni che provo e che magari non riesco ad esprimere in un discorso parlato in maniera appropriata. L’ho sempre fatto per me stesso, tant’è che prima del 2016 non avevo nemmeno preso in considerazione l’idea di fare live e provare a rendere fruibile il mio prodotto ad un possibile pubblico. Per questo nelle mie canzoni ho sempre inserito solo ciò che piace a me, curandomi del giudizio altrui senza cercare di ingraziarmelo, snaturando ciò che sono. Ho 29 anni e non sono più giovanissimo, musicalmente parlando.
E per quanto riguarda la musica odierna?
La trap e la nuova scuola mi piacciono sì e no, talvolta rappo su basi più moderne, ma non sento il bisogno di essere uno dei tanti che provano ad essere quel tipo di personaggio stereotipato stile pussy-money-weed tanto in voga ora. Chiariamo: non tutti sono farlocchi, molti ci credono. Ma solo alcuni sanno di cosa parlano. Ovviamente poi il mio lavoro è strettamente legato a ciò che ascolto maggiormente, e come tutti ne sono un po’ influenzato.
Quali sono i tuoi obiettivi musicali? Come vorresti che si evolvesse la tua carriera? Dacci la risposta sincera.
Se devo puntare in alto, nel mio futuro ideale è la musica a pagare il sottoscritto e non più il contrario. Non mi dispiacerebbe affatto se la mia carriera si evolvesse in modo tale da garantirmi un’entrata fissa o quanto meno cospicua, permettendomi di viaggiare e togliermi alcuni sfizi. La strada è lunga e in salita, ma sognare non costa nulla, e credo nelle mie capacità. Qualcuno ha detto che nei live mi vedrebbe bene con una band in accompagnamento invece delle basi, e sinceramente l’idea un po’ mi stuzzica: potrei provare! Ad ogni modo scriverò finché sentirò il bisogno di farlo. Magari fra 10 anni sarò famoso, cambierò genere e susciterò l’ira dei miei vecchi fan, oppure inizierò a fare lo speaker radiofonico o il conduttore televisivo! L’ho detto che avrei sparato alto.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Sì, un paio di cose. Vorrei invitare tutti quanti sui miei canali social per farsi un’idea di ciò che faccio. Per concludere, così come ho iniziato, vorrei fare dei ringraziamenti. Stavolta a coloro che hanno reso possibile la realizzazione del disco, in primis Robin Marchetti e Hekro ma anche tutti gli artisti di Rabbit Productions in cui ho trovato amici speciali come Claude Rivers (Creezy), Indigo & The Sirens e Ms. Shanti. Ringrazio Strega Salamander e Sophy Rose (Aradia Morrigan) per avermi prestato la voce, Sharky e Lokman Mouatamid per i video. Infine alcune persone che non hanno influito nel progetto ma che ho conosciuto strada facendo: gli Illinoyze da Brescia, Demone Dentro da Bologna e a Dean Heath, che mi ha permesso di tuffarmi sul palco in apertura alla sua band fin dalla prima volta, e a cui sono immensamente riconoscente.