MAHDOH!: "Il box dove proviamo è diventato un'orgia di sentimenti ed emozioni"
I MahDoh! in una foto promozionale di “Rughe”,
I MahDoh! in una foto promozionale di “Rughe”.

MAHDOH!: “Il box dove proviamo è diventato un’orgia di sentimenti ed emozioni”

Oggi abbiamo con noi Olivia dei MahDoh!, band indie-pop che ha rilasciato il suo primo EP, “Rughe”, il 2 dicembre con MiaCameretta Records. Ciao Olivia, benvenuta! La prima domanda che voglio farti appartiene a una formula ricorrente nelle interviste su Music.it: raccontaci un aneddoto memorabile che vi riguarda, e che non avete mai rivelato ufficialmente. Sbizzarrisciti!

Eccoci, prima domanda… ed è già la più difficile!
Secondo me l’aneddoto più significativo riguarda l’ultima traccia dell’EP, o almeno i suoi ultimissimi secondi. Si può sentire, in tutta la sua piena chiarezza, uno sciacquone del cesso. Eravamo a Morolo a registrare, e ci era venuto in mente di mettere questa bonus track “Il mio cappello”. Pensavamo: ora sarebbe bello integrarla con dei suoni della natura, degli uccellini o altro. Poi, come un fulmine a ciel sereno, mi è venuto in mente di chiudere il tutto con lo sciacquone. Così ho detto agli altri: «Nun v’aregge, eh? Lo so che nun v’aregge». E invece la proposta è stata accettata all’unanimità. È stato un momento delle registrazioni molto divertente. Questo dimostra quanto viaggiamo tutti sulla stessa lunghezza d’onda. Quanto ci piace giocare. E quanto sia importante dire cose serie e importanti, senza prenderci troppo sul serio.

Ascoltando il vostro EP “Rughe”, si sente che vi divertite un sacco a fare musica, e che lo fate con naturalezza. L’aneddoto che hai scelto non fa che confermare quel che le orecchie possono solo ipotizzare.

Sì, ci divertiamo un sacco a suonare. È stato un tragitto lungo e tortuoso ma finalmente siamo noi, i MahDoh! Siamo cinque ma siamo una cosa sola. Un giorno di circa sei anni fa, Stefano Padoan mi chiese cosa volessi veramente fare io con la musica. Si studiava jazz insieme, nella stessa scuola. La risposta è arrivata immediatamente: «Voglio scrivere pezzi miei, voglio fare la mia musica». Fatto sta che lui deve avermi preso molto sul serio, perché poco dopo arrivò con la chitarra, qualche accordo e qualche melodia. Da quel giorno non abbiamo più smesso di scrivere. “Il mio cappello” è un esempio di come possono nascere i nostri pezzi. Gli altri si sono evoluti, ma “Il mio cappello” è rimasto un archetipo, un modello, una forma primitiva. Lo abbiamo inserito anche per questo: è esattamente la registrazione fatta col telefono cinque anni fa.

E gli altri componenti della band?

Ci sono state tutte le vicissitudini che molti musicisti conoscono. Persone che venivano e andavano, musicisti che non avevano il nostro stesso mood. Ci abbiamo provato senza arrenderci mai. E alla fine, come per magia, sono apparsi loro, due anni fa, gli altri tre MahDoh!Veronica, Riccardo e Marco. Abbiamo tutti studiato jazz e continuiamo a fare anche quello, ma l’espressione non la puoi comandare, e dentro di noi, pronti a venir fuori, c’erano i MahDoh!

Secondo te quanto è importante che ci sia confidenza fra i membri di una band, per fare buona musica?

La confidenza è fondamentale. Prendersi un caffè insieme, «un bicchiere di vino, un panino, è la felicità». Potersi dire apertamente «ti amo», «ti odio», «oggi non ti sopporto», «quell’accordo fa schifo», «hai stonato alla grande». Il box dove proviamo è diventato un’orgia di sentimenti ed emozioni. Bisogna sempre però stare attenti. La confidenza va trattata con i guanti di velluto: ci vuole molta empatia. E quando ci si dice qualcosa, quando ci si critica in totale apertura, bisogna essere capaci di non ferirsi. Tutto funziona se nessuna parte della totalità è rotta.

Oggi mi sento Simona Ventura che intervista Lady Gaga a “Quelli che il calcio”. Dopo l’uscita del vostro EP, ci sarà un tour?

Ci sarà un tour mondiale. Volevamo andare anche noi su Marte ma poi abbiamo pensato che
sarebbe stato banale, vogliono andarci tutti. Quindi pensiamo di rimanere dalle parti nostre, sul
Pianeta Terra. La realtà è che il tour non è ancora nato, è in gestazione. Ma ci sarà.

Quindi, ci sarà un tour per promuovere il vostro EP?
…scherzo! Raccontaci di un vostro concerto in cui vi siete divertiti particolarmente!

Ci sono concerti durante i quali devo trattenermi dal ridere, e per cantare non è proprio il massimo. Tutto questo perché miei compagni di viaggio sono molto particolari. Durante un live, Marco continuava a cambiarsi vestiti senza che noialtri ce ne accorgessimo. Ma sicuramente il concerto in cui ci siamo divertiti di più è stato quello per la presentazione dell’EP “Rughe”. Ci siamo emozionati. Divertirsi è emozionarsi, sentire tutti i suoni come devono essere, sentirsi una cosa sola, vedere il pubblico che sorride e gioisce con te. E poi hanno suonato con noi tre amici musicisti, Francesco Aprili, Jesse Germanò ed Edoardo Impedovo. È stato bellissimo. Una vera e propria ammucchiata di musica e di energia. Dal pubblico poi ci urlavano «Nudi! Nudi! Nudi!». Quindi abbiamo pensato che per uno dei prossimi live cercheremo di creare un’orchestra di almeno venti elementi, tutti nudi sul palco.

Perché no? Ormai si spogliano tutti, e in qualsiasi occasione!
Dove posso comprare un cappello che trattiene i pensieri, come quello nell’ultima traccia di “Rughe”?

Ah, quel cappello? Ovunque, in qualsiasi negozio, anche dal fruttivendolo. Anzi, se ti guardi bene allo specchio scoprirai che ce l’hai già in testa. E sulla testa di ognuno ha una forma diversa. Per alcuni il cappello ce lo creiamo da soli, quando ci chiudiamo e non siamo aperti mentalmente. È quindi una limitazione. Per me è sempre stato un contenitore, dal quale i miei pensieri non potevano scappare via. Per altri è una pentola che porta i pensieri a ribollire quando non si ha il coraggio di farli uscire. Può anche diventare un sombrero e accecare chi ci sta vicino. Insomma, è sempre un fatto di punti di vista e di come si usano gli strumenti di cui disponiamo. Comunque, un cappello, soprattutto d’inverno, fa sempre comodo.

Altroché! Soprattutto se è un cappello speciale.
Se vi fosse data la possibilità di scrivere una canzone per una band o un artista di fama mondiale, per chi lo fareste?

Eh, qui la risposta non è una sola! Ovviamente ognuno di noi vorrebbe sentire un nostro brano suonato da qualcuno in particolare. Per esempio, c’è chi dice Red Hot Chili Peppers, se hanno voglia. O Erlend Oye dei Kings of Convenience, domani lo chiamiamo. Un bello split con i Real Estate. È chiaro, tutto rigorosamente scritto in italiano, o comunque in una lingua inventata dalla collaborazione con il gruppo in questione. Io personalmente scriverei un pezzo per due noti premier, che sono artisti nell’inventare quello e quell’altro, famosissimi anche sui social. Dovrebbero cantarlo in duetto, e comincerebbe così: «Sono la pecora, sono la ca**a…». Credo che farebbe successo.

Domanda bonus: vino o birra?

Vino, vino, VIIIIIIIINOOOOOOOO. Rosso.

Grazie mille a Olivia dei MahDoh! per il tempo che ha dedicato ai lettori di Music.it. Ti faccio sapere se trovo il cappello dal fruttivendolo. Ciao!