Il DJ e producer Marco Carpentieri.
Il DJ e producer Marco Carpentieri.

MARCO CARPENTIERI: “Sono un DJ, suono il piano e amo ENNIO MORRICONE”

Diamo il benvenuto al DJ Marco Carpentieri sulle pagine di Music.it! Sei il primo DJ che intervistiamo e siamo felici di questo. Parliamo subito di te e del tuo avvicinamento alla musica. Qual è stato l’episodio che ha dato via al tutto?

Dunque, è molto semplice. Avevo circa 3 o 4 anni quando mi venne regalata una tastiera giocattolo. Da lì ho iniziato a prendere confidenza con la musica. Nasco dal pianoforte infatti, e dall’epoca ho continuato a suonare. Sono passato prima dal piano bar, poi ho suonato nelle osterie e nelle zone in cui si faceva liscio, fino ad arrivare a fare musica pop. Cantavo e suonavo nei locali. Successivamente sono passato alla musica da discoteca. Prima come produttore, lavorando in uno studio con altri produttori italiani, e poi sono arrivato a fare cose anche da solo, cominciando a produrre personalmente. Nel frattempo facevo anche il DJ nelle serate e nelle feste private. E a poco a poco dalle feste sono andato a salire, fino ad oggi.

Ad oggi che sei uno dei DJ più richiesti dalla fauna della musica dance. Una lunga e variegata gavetta, la tua, per arrivare a questo risultato. Volendo approfondire, come sono avvenuti questi passaggi che dal pianoforte ti hanno portato a lavorare coi dischi?

I passaggi in realtà sono stati tre in tutto. Prima dalla musica tradizionale a quella delle sale da ballo. Poi, alla musica pop-italiana, fino ad arrivare alla musica da discoteca. Tutto è stato abbastanza automatico, senza grossi traumi. A me piace molto provare a fare anche delle cose diverse. La base è stata quella della curiosità, avendo in famiglia dei musicisti che comunque mi avevano indirizzato su un certo tipo di mondo musicale. Iniziando a cercare nuovi generi e quindi nuovi stimoli ho iniziato a fare cose diverse. Sono passato dal pop alla dance perché sostanzialmente ho conosciuto dei produttori italiani che, invitandomi in studio, mi hanno man mano coinvolto. Parlo di musica italo dance, quindi di artisti come Prezioso, Molella, Carolina Márquez. Tutti nomi di quel calibro e genere che ancora oggi fanno quella musica.

Cerco di immaginarti al lavoro. Com’è che avviene il tuo sperimentare, dal momento che sei tu stesso un musicista?

Vedi, io in realtà sono un DJ, un produttore e un remixer. Remixo anche dischi per alcuni DJ famosi. Posso dire che il mio lavoro principale si sviluppa tutto dallo studio. Perché se fai il disco conosciuto, tutto va in automatico. Fai serate, fai i live. Però il mio lavoro principale è quello di stare dalla mattina alla sera a cercare le giuste sonorità, lo stile, l’evoluzione di quello che può essere un genere attuale. Cercare di capire se un sound può funzionare. Insomma sperimentare in continuazione. Questa è la regola principale.

Eppure nella dance un certo confine esiste. Mi sbaglio?

In verità non c’è. Il bello di quello che faccio è proprio non avere limiti. Soprattutto al giorno d’oggi è bello far cose che non c’entrano niente l’una con l’altra. Anche per dare una nuova sonorità, sai? Di generi musicali, al giorno d’oggi, ce ne sono infiniti. Magari esce fuori il disco che mescola il sound jazz con una voce indiana e fa il delirio in giro per il mondo. Certo, ci sono dei criteri. Non è che fai le macedonie. Però la sperimentazione comprende anche questo: fare cose diverse, azzardate. Come con la moda. Una volta nero e blu non andava e oggi fa tendenza.

Però, parlando di musica dance, converrai con me che se fai quel certo tipo di musica in un locale, non ne puoi fare di diversa.

Diciamo che il lavoro di produzione è diverso da quello live. In studio si può sperimentare più o meno tutto. Nei live di meno perché c’è un pubblico. Dunque c’è chi va ad ascoltare il DJ famoso e sa già cosa propone. Se c’è un DJ sconosciuto, questo deve essere convincente rispetto a un pubblico che potrebbe anche essere nuovo. Gli stessi live sono di diversi tipi. Ci sono i live nei club e nei festival. Ai festival, ad esempio, puoi azzardare un po’ di più, perché c’è gente che non balla solamente, ma osserva anche. Nei club invece la gente va per ballare, quindi devi essere bravo a farli ballare. Devi stare attento se vuoi azzardare perché se fai un passo falso e non vieni capito, il locale si svuota e succede un casino (ride).

Qual è l’ambiente che prediligi tu?

Quest’anno ho avuto la fortuna di partecipare a due dei più grandi eventi mondiali, ovvero L’Ultra Music Festival a Città del Messico e L’ADC Festival. Lì ho fatto un set completamente diverso da quello dei club. Nei club mi concentro di più ad avere una musica che sia ballabile, mentre nei festival mi piace di più fare uno show. Anche fermare la canzone perché c’è un cantato che affascina. Questo nei club non lo puoi fare. Io preferisco di più i festival perché ho la libertà di fare quello che mi pare e piace. Vengo dal pianoforte, e se sul pianoforte trovo una voce, senza mettere il ritmo, a me emoziona.

Mi incuriosisce molto il fatto che tu venga da un’impostazione classica. A proposito di contaminazioni e sperimentazioni: col rap come ti rapporti, ci lavoreresti?

Intanto ho visto molti artisti italiani che, sull’onda della moda, hanno mescolato rap e trap alla dance. Per esempio, Sfera Ebbasta ha fatto la trap all’italiana, cosa che prima non c’era e infatti ha avuto un successo notevole. Diciamo che mi piace qualunque artista si metta a sperimentare. Nell’hip pop questa cosa è successa in modo abbastanza evidente. Ci sono state fusioni interessanti. Che so, il raggaeton con il rap o con la trap. Andrebbe fatto in tanti altri generi. Io non lavoro molto con il rap perché non è proprio il mio sound, anche se lo seguo e lo ascolto.

Dunque, quali sono le influenze che ispirano e hanno ispirato il lavoro che fai?

A me piace molto il mercato inglese. Ascolto i Coldplay e tutto quello che è il british sound, perché è cool ed ha anche un certo groove che fa ballare. Poi nel mio smartphone ho di tutto. Passo da Ennio Morricone a qualsiasi altra cosa. Mi piacciono molto gli Above & Beyond, che sono degli artisti inglesi che fanno trance melodica. Mi piace ascoltare molte cose diverse, perché tutto mi dà qualcosa per scrivere. Uno spunto, un’ispirazione per creare qualcosa di alternativo. Non ho uno stile principale. Chiaro, quando devo suonare o quando finisco e voglio ascoltare qualcosa, metto roba easy per rilassarmi. Mi piace comunque la musica melodica. Ecco perché Ennio Morricone. Ho tantissime cose sue sullo smartphone, e questo perché hanno tutte delle melodie pazzesche che mi aiutano a scrivere. Un po’ anomalo per un DJ, lo so.

Sai che invece pensavo che forse non lo sia poi così tanto? Mi viene in mente che l’ultimo disco del Colle der Fomento richiama alcune atmosfere che sono proprio quelle di Ennio Morricone ed è curioso risentire questo nome anche da te.

Stiamo comunque parlando di artisti che hanno delle basi su cui ci si può fare di tutto. Come se ti mettessi a suonare avendo un pianoforte: puoi suonarci qualsiasi cosa. Poi, nella musica ci sono dei punti di riferimento che a volte sono fondamentali per chiunque.

A questo punto ti chiedo se ti nutri d’altro oltre che di musica. Insomma, se hai influenze estranee al mondo musicale.

Diciamo che le influenze sono molto importanti. Bisogna saperle gestire, però, altrimenti si rischia di diventare la copia di qualcun’altro. Io ho dei punti di riferimento anche nel look, ad esempio. Il DJ ormai è un personaggio che deve seguire anche un certo stile di abbigliamento, uno stile comunicativo sia sui social che in pubblico. Devo comunque dire che principalmente vado col sound. Sul resto ho una personalità che preferisco mantenere. Sulla musica sì, mi lascio condizionare. Sul resto no. Anche perché chi ti segue, lo fa anche per quello. Nel bene o nel male.

Credo sia vero. Ci sono colleghi che stimi particolarmente?

Sì, certo. Se vogliamo fare nomi un po’ più conosciuti, ti dicevo degli artisti inglesi: Above & Beyond, MK, Jonas Blue. Tutti questi mi influenzano sulle produzioni. Italiani, invece, mi piace molto Benny Benassi. Come mood, come stile. È un artista italiano, ma con una mentalità principalmente internazionale. Io voglio aprirmi soprattutto all’estero perché credo sia molto importante. Benny Benassi all’estero è considerato una star. Per quanto mi riguarda, è un esempio da seguire. Ci sono diversi di italiani che mi vengono in mente, ma mi limiterei a Benny Benassi, perché comunque gli altri sono più europei. Io seguo molto l’estero, ma quello extraeuropeo, per quanto riguarda le produzioni. Il mio stile è davvero poco italiano, a livello di produzione. Ad esempio, adesso io lavoro molto negli USA e nell’America Latina. Invece, il DJ set è diverso, la hit, se è una hit funziona ovunque.

Dunque la tua direzione d’apertura è all’estero. Va oltre l’Europa, nonostante l’Inghilterra ti sia congeniale nelle ispirazioni. Qual è la differenza che riscontri tra Italia, Europa ed estero extraeuropeo?

Io parlo di estero, ma semplicemente perché sto avendo grosse opportunità di fare cose fuori e sono entrato nell’ottica di queste opportunità. A ogni modo, a livello di produzione c’è una differenza di sound, ma perché c’è proprio una differenza di cultura.
Noi siamo un paese che musicalmente è prettamente pop. Sulla dance siamo meno forti. Non è il nostro genere principale, ma d’altro canto la house non nasce in Italia. Ci arriva di riflesso.
È più degli USA o dell’Inghilterra. È chiaro che anche qualitativamente parlando, essendo povera la cultura, la produzione ne risente. Qui va forte Laura Pausini. La ricerca, la tessitura del brano, anche la risposta delle case discografiche determinano, purtroppo, questa differenza nel sound di cui ti parlo. Se non vieni capito perché hai fatto qualcosa di particolare, non puoi affrontare una ricerca diversa.

A te è mai capitato che ti abbiano sbattuto porte in faccia?

Tante volte ho fatto cose alternative rispetto ai canoni, e di conseguenza dei “no” li ho ricevuti. È più facile che funzioni qualcosa di scontato piuttosto che qualcosa di alternativo. Poi ci sono stati anche i casi che hit mondiali, come “Children” di Robert Miles, siano diventate famose dopo tanti anni e dopo tante porte in faccia. Non è semplice. Purtroppo a volte arriva più facilmente il fatto che debba funzionare all’istante, invece di avere una proiezione lungimirante che crei un investimento che potrebbe generare uno stile o un genere. Deve esserci attenzione da parte delle case discografiche.

Tu hai, tra gli obiettivi, quello di piantare una radice che sia tua e che dunque sia carica di contaminazioni e studio di queste contaminazioni affinché il tuo sound possa generare qualcosa nel mercato italiano? Potresti voler essere un pioniere?

C’è tanta musica in giro anzitutto, anche troppa per certi aspetti. Per cui il mercato è saturo. Qualcosa che sia diversa, bella o particolare e meno scontata viene messa in discussione perché, tra le cose da fare, richiederebbe investimenti specifici per poterla far funzionare. Diventa complicata questa cosa. Detto ciò, bisognerebbe creare un contenitore di cose alternative a cui dare la giusta attenzione. È un discorso complesso, ma in sintesi è questo. Io cerco di lavorare su cose meno scontate, ma purtroppo bisogna interfacciarsi con un mercato che in finale è quello della vendita, quello che si potrebbe chiamare mercato medio.

Capisco. Passiamo alla mia domanda di rito: qual è il concerto che Marco Carpentieri non può perdersi?

Guarda, ti direi ancora Ennio Morricone. Per non essere ripetitivo però ti cito i London Grammar, una band inglese che sto seguendo perché veramente merita molto. Loro fanno pop, ma tutte le cose che hanno fatto sono favolose.

In Italia c’è qualcuno che ti piace e segui particolarmente?

Credo che i Thegiornalisti stiano facendo delle belle cose. Hanno scritto cose interessanti. Poi, in verità, non è che io segua troppo la musica italiana. Così come il cinema, lo confesso.

Torniamo alla dance. Facendo il DJ e interfacciandoti con un pubblico sempre giovane, o che comunque vuole la gioventù al centro della sua fruizione, senti una certa responsabilità sulle tue spalle?

Sì. Al giorno d’oggi credo che il DJ abbia una responsabilità piuttosto importante verso i giovani e le nuove leve. Oramai il DJ deve dare degli esempi. Deve essere una persona che non comunica solo tramite la musica, ma anche tramite i modi e un po’ tutto quello che lo circonda. Basta guardare i rapper: i giovani d’oggi li seguono tutti. Bisogna cercare di essere all’altezza anche riguardo il periodo storico in cui si vive, al di là della sfera musicale. Noi tutti diamo un esempio e bisogna che sia dato al meglio. Io sento di avere una responsabilità sia quando suono dove mi guardano tutti, sia quando comunico attraverso i social. Dobbiamo essere consapevoli.

Inoltre, dall’inizio della tua carriera come DJ ad oggi, l’assetto sociale ha preso una certa piega e le cose sono cambiate. Cosa è cambiato in te, anche come spettatore delle persone che vengono a guardarti, e quindi nel tuo modo di proporre la tua musica?

È cambiato tutto. La maturità, il punto di vista di vedere questo ambiente. Cambiando il mondo in generale e quindi anche quello musicale, l’ottica che ho adesso mi permette di scrivere cose più interessanti. A 20 anni le cose le vedi in un modo, adesso che ne ho 34 le vedo in un altro. Le cose che scrivo adesso sono più riflettute, più ricercate. Prima scrivevo d’istinto e adesso invece mi baso su input, su influenze.

Progetti futuri?

Fino all’11 farò date in India e toccherò alcune tra le città indiane più importanti, suonando in tre club piuttosto noti. A fine dicembre farò invece una data in Francia. Per le produzioni, invece, sto collaborando con un DJ venezuelano abbastanza importante, di cui non svelerò il nome per scaramanzia. Anche io sto scrivendo delle cose che usciranno. Sostanzialmente: musica, musica e ancora musica. Ascolto e scrittura. Mi farebbe piacere sottolineare il fatto che quest’anno ho avuto la fortuna di avere nel mio team una persona, Patrizia. Come manager mi sta seguendo tanto e le cose importanti che stiamo facendo, accadono grazie a lei.

Dandoti appuntamento per quando tornerai dall’India, ti ringrazio molto per l’interessante chiacchierata e ti auguro una buona permanenza lì. Prima di andare, però, ti chiedo di salutare i nostri lettori come più preferisci.

Avendo visto il vostro magazine invito tutti i lettori a seguirlo perché è davvero molto interessante e ne vale la pena. Vi saluto tutti e vi ringrazio. A presto!

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