A chi non voleva neanche stare a pensarci, persino l’interfaccia di Google ha ricordato che giorno è oggi. Donne, mai cadere nella tentazione di rilassarsi, di pensare che aver ereditato certe posizioni, frutto di lotte, dia il diritto di restare indifferenti. Oggi il mondo non scende in piazza per festeggiare. L’8 marzo quest’anno ha preso forma di uno sciopero globale femminista. E poiché il mondo della musica non è una fortezza inespugnabile, bisogna sottolineare almeno alcuni modi in cui si riflettono le strutture di potere che si articolano nella società.
Certo, molto è stato fatto per colmare il dislivello tra le possibilità di carriera che si prospettano per i due sessi. Un divario che accenna a diminuire grazie all’innegabile emancipazione progressiva dell’ultimo secolo. Tuttavia, c’è ancora da fare. Disaffezioniamoci a qualsiasi supposta “natura” che determinerebbe l’uomo a essere più espressivo – nel senso artistico del termine – della donna, e viceversa. Nella tessitura delle relazioni sociali è insito il motivo del mancato raggiungimento di riconoscimento di talento e competenze. Quante Janis Joplin, quante Bjork, quante Joni Mitchell, quante Lady Gaga e quante Madonna in più saremmo tutti orgogliosi di contare nel novero degli artisti che hanno fatto e fanno la differenza?
Ci vorranno ancora molti decenni prima che si scalzi via con l’educazione e la protesta un dovere che limita così pesantemente l’autodeterminazione femminile.
Sarebbe una semplificazione eccessiva considerare la presenza o meno di un preponderante organo sessuale in mezzo alle gambe come unica causa del maschilismo. Ma del machismo sì, di cui troppo spesso sono gli uomini stessi a subire ricadute. Basti pensare agli scandali che periodicamente ci ricordano in che stato verte la piccola come la grande produzione artistica – musicale, cinematografica o teatrale – in cui a essere vittime non sono soltanto le donne. Sono pronta a scommettere che il patrocinio di NUDM dell’organizzazione dello sciopero dell’8 marzo non dissentirebbe dall’apertura al ricordo di tutte le occasioni che ogni giorno il maschilismo fa perdere.
Preoccupa il tipo di gogna mediatica con cui il pubblico investe gli artisti. Basti pensare a come è stata raccolta una generica dichiarazione di accoglienza nei confronti dei profughi di Emma Marrone. Il modo di infangare il talento più o meno brillante di cantanti resta inequivocabilmente diverso. Nell’immaginario collettivo un uomo può pagare per mezzora di successo, o per facilitare quest’ultimo. Una donna sembra dover convivere con la necessità di vendere sessualmente il proprio corpo oltre che la propria immagine. Anche quando lavora con la voce. È un mercato difficile in cui è questo tipo di domanda che va annientata.
Uno dei motivi della scarsa rappresentanza del gentil sesso in ambito artistico è una generale tendenza alla modestia e alla vergogna, come scrive Ellen McSweeney. In fondo, fin dalla più tenera età viene insegnato che famiglia e carriera sono due possibilità autoescludentesi. Ci vorranno ancora molti decenni prima che si scalzi via con l’educazione e la protesta un dovere che limita così pesantemente l’autodeterminazione femminile.
Oggi è l’8 marzo. Dire “Basta!” oggi è ricorrenza. Dire “Basta!” sempre, è un dovere di tutti.