Ciao Quma e benvenuti sulle pagine di Music.it! Entro a gamba tesa e vi chiedo: qual è l’aneddoto più assurdo che lega voi quattro alla musica? Niente che sia già pubblicato!
Ciao a tutti!
Questa non la sa quasi nessuno: quando Ale e Fa cercavano un bassista per formare l’attuale band, Fa aveva contattato Mane su internet per proporgli il ruolo di bassista, ma Mane aveva rifiutato il posto, perché all’epoca suonava ancora nel suo gruppo precedente ai Quma.
Tempo dopo, quando Fa si era dimenticato dell’accaduto, ricontattò Mane con il medesimo intento, credendo in realtà di non averlo mai fatto prima. Incuriosito dalla proposta avanzata per ben due volte Mane, che nel frattempo aveva lasciato la sua band, accettò. Incredibilmente, è così che tutto è iniziato.
Adesso dovete assolutamente dirci per cosa diamine sta il vostro nome, Quma.
Quma sta per Question Mark, cioè punto interrogativo.
Questo nome deriva dalla scelta di fondere all’interno di un unico sound tutte le nostre influenze musicali, facendo della sperimentazione la nostra filosofia di vita.
La vostra è una formazione piuttosto giovane. Adesso sappiamo che dobbiamo molto a Mane. Ma mi domando quale sia la vostra storia.
Tutti i componenti del gruppo avevano precedentemente militato in band che proponevano repertori molto differenti fra loro: quando l’esperienza di Ale e Fa si è conclusa, nell’estate del 2015, si sono messi alla ricerca di un bassista. Quando Mane ha risposto all’appello, è nato il primo nucleo del progetto. Successivamente, nell’inverno del 2016, la formazione è giunta al completo con l’inserimento di Marco, conosciuto da Mane proprio nel periodo di fondazione dei Quma, in qualità di cantante e polistrumentista.
Le vostre influenze vi hanno sempre trovati d’accordo? Parlateci della vostra amalgama e delle vostre ispirazioni.
Essendo appunto le nostre esperienze musicali molto diverse e i nostri ascolti molto variegati, la composizione dei brani si è sempre focalizzata sull’armonizzazione di tutte le anime della band. Marco è un grande esperto di progressive rock, così come Ale ne è un grande amante, ma viene dal punk e dal grunge, proprio come Fa, che è dotato però di una notevole sensibilità melodica. Infine Mane dispone di un fine orecchio per il gothic metal e gli arrangiamenti epic, senza dimenticare la sua attenzione all’estetica dark, da cui la band ha tratto grande ispirazione.
“De Vulgari Eloquentia” è il vostro primo album ed è autoprodotto. Vi va di raccontarci l’esperienza dell’autoproduzione?
Ogni esperienza di autoproduzione è senza dubbio formativa per qualsiasi gruppo musicale.
Per la realizzazione di “De Vulgari Eloquentia” abbiamo convertito la nostra sala prove in piccolo studio, cominciando in primo luogo a registrare la batteria, per poi passare alle chitarre e al basso, concludendo con le tracce vocali e le tastiere. Last but not least ci siamo occupati degli effetti sonori – in parte registrati in presa diretta e poi convertiti digitalmente – che saltuariamente dividono le tracce dell’album una dall’altra.
Anche la grafica dell’album è stata elaborata da noi, modificando al computer alcune incisioni di Gustave Doré che hanno come soggetto la “Divina Commedia” e il “Paradiso perduto” di John Milton.
Per seguitare il discorso e approfondirlo: vi va di raccontarci le ragioni per cui il vostro è un prodotto D.I.Y.?
Desideravamo avere il pieno controllo sulla nostra prima fatica ufficiale dopo la prova dell’EP, prodotto anch’esso da noi, con cui abbiamo cominciato a suonare dal vivo. Per cui abbiamo deciso di registrare ogni cosa in totale autonomia, nel luogo che più ci era familiare, affinché ogni minimo dettaglio ci soddisfacesse.
Il D.I.Y. comporta sempre dei rischi, a causa della mancanza di mezzi professionali al pari dei normali studio, ma eravamo e siamo tuttora convinti che tramite la cooperazione fra i membri della band e l’adeguata competenza che si ottiene dai tentativi di risoluzione degli errori che inevitabilmente si commettono nella fase di registrazione, il prodotto finale sarà la realizzazione dei talenti individuali di ciascun musicista che convergono in una sola forma espressiva, anche qualora si tratti di un album autoprodotto, come nel nostro caso.
Il titolo dell’album presuppone una sorta di devozione alla poesia. Perché Dante? Cosa volevate trasmettere col disco?
Dante scrisse il “De Vulgari Eloquentia” per nobilitare l’uso nella scrittura del volgare, più adatto a raggiungere ogni tipo di lettore. Noi abbiamo preso come idea guida l’intento di Dante e con la volontà di unire quante più orecchie possibili, abbiamo intitolato il nostro primo album “De Vulgari Eloquentia” per portare in alto il vessillo di un genere divenuto proprio di una nicchia di ascoltatori, cioè il crossover, che noi non intendiamo solo come la contaminazione tra sound differenti, ma anche come interazione fra elementi sonori e visivi durante i nostri live.
A proposito di live, raccontateci quanto i Quma sono stati plasmati o semplicemente quanto abbia inciso la dimensione live nei confronti del vostro sound e, successivamente, in quelli della produzione in studio.
Effettivamente siamo da poco giunti alle porte del sessantaquattresimo concerto.
Come detto in precedenza, la dimensione live della nostra musica e fondamentale. È suonando per tre anni dal vivo con regolarità, anche ogni settimana, che abbiamo appreso l’importanza della presenza scenica e dell’aspetto scenografico di uno show. D’altronde, viviamo nella cultura dell’immagine, ma noi abbiamo sempre cercato di non utilizzare l’elemento visivo come mera appendice. Piuttosto, l’abbiamo sempre inteso come parte inscindibile del nostro modo di fare musica. Inevitabilmente, in studio non lo si può riprodurre, ma durante la composizione di un brano tendiamo a prefigurare ogni sua possibile interpretazione scenica per mantenere unite le due dimensioni di cui abbiamo parlato.
Il concerto che i Quma non si possono mai perdere nella vita. Uno che metta tutti e quattro d’accordo e a mani basse.
Sicuramente un concerto dei Tool o degli A Perfect Circle. Sono band sulla cui importanza per la storia della musica recente e universale siamo tutti e quattro d’accordo, così come sulle loro capacità tecniche e creative.
Tempo di saluti. Vi ringrazio davvero e ne approfitto per farvi i miei complimenti: siete forti! Lascio quest’ultimo spazio, come fosse una pagina bianca tutta per voi. Prego!
Grazie a voi per lo spazio che ci avete dedicato e grazie a tutti coloro che hanno letto queste parole!
Date un’occhiata ai nostri social, perché siamo piuttosto attivi. Naturalmente vi aspettiamo ai nostri concerti, saremo molto felici di dimostrare il nostro valore e di conversare con chiunque lo desideri.
A presto!