La denominazione del composto di chitarra e batteria è alchemica. Malvacicuta è un composto onomatopeico e significante, tanto calmante quanto velenoso. Viene da chiedersi cosa voglia evocare il duo, visto che il primo corposo lavoro di 13 tracce è un “Ermetico Manifesto”.
L’aggettivo si fa portatore di una mitologia nota, quella greca ed ebraica – come suggerito dalla presenza di “Golem” – elaborata in poesie simbolicamente complessa, che prende forma di musica. I Malvacicuta si incastrano tra l’heavy metal degli Iron Maiden e il doom dei Black Sabbath. Mentre i maestri da cui il progetto riprende il gusto per l’epica didascalica avevano un occhio di riguardo soprattutto per la mitologia nordica, il contesto di “Ermetico Manifesto” è il Mediterraneo.
In “Cinica Apologia” riecheggia la morte di Socrate per avvelenamento da cicuta, il cui destino è già scritto: «è tutto deciso / lui berrà / l’ultimo sorso». Nella tessitura melodica ci sono infiltrazioni pop, inserite ad arte quasi per educare l’orecchio di un novello adepto. Man mano che scorrono tracce e minuti, “Ermetico Manifesto” è purificato da qualsiasi contaminazione che renderebbe più digeribile l’album. L’etimologia del termine ermetico è pienamente rispettata. I Malvacicuta attraverso le parole ricollegano gli equilibri del cosmo. Ma non ci sono solo le parole ad evocare le relazioni di cose che costituiscono l’universo in cui viviamo.
I Malvacicuta arricchiscono “Ermetico Manifesto” con un dipinto per ogni traccia
Colti da un eccesso di zelo espressivo, forniscono anche poesie alternative alle già meravigliose liriche. Il moderato uso di effettistica segnala una permeabilità del duo a influenze post-punk. Un discorso che vale tanto per la strumentale “Caos”, quanto per l’incipit di “Violenta metamorfosi”. Tanto sintetica quanto comunicativa, la narrazione rapida della soppressione di una libertà appena conquistata, cede il posto riff sentimentali. I groove di Marco Di Chiara sono spessi e pesanti, mentre la chitarra del maestro Maurizio Santini sta anche per il basso assente. Non è scontato non sentirne la mancanza, nonostante i Malvacicuta abbiano scelto una sonorizzazione pulita e analizzabile.
Tra pedaliere e riverberi, la narrazione risulta piena e compatta, proprio come l’atomo cosmico in cui tutto è qualcos’altro. Non si negano arrangiamenti mutuati dal progressive-folk, come in “Visione mistica dell’ira”. Le tonalità epiche sono dosate con parsimonia nel flusso sonoro, ma non vengono risparmiate nella struttura retorica: «angelo che blocchi le furie / all’inferno nudo e potente / addormenta la tua coscienza / ed apri questa ermetica porta». Non è diversa la tematizzazione sonora di “Ermetica Porta”. La ‘filastrocca’ di “Dodecaedro”, invece, è una sferzata di schegge hard core. Un interessante arazzo sonoro quello composto dai Malvacicuta, in cui a prevalere è la sensazione di estraniamento.