Si può dire che martedì 15 gennaio la settima edizione del Roma Fringe Festival, ospitato nel padiglione Pelanda del Mattatoio, sia giunta a metà del suo corso. Il tempo corre davvero veloce quando è di qualità. Sono passate già tante compagnie sui palchi del Fringe Festival. Il palco B ospiterà per altri due giorni Virgolatreperiodico, Casa Zoo e La compagnia del Calzino.
WAITING FOR MACBÈTH
La relazione coi classici è sempre complicata. Ci vuole coraggio misto a riverenza per trattare un gigante come William Shakespeare, soprattutto quando l’opera in questione è molto conosciuta. Con “Waiting for Macbèth” i Virgolatreperiodico si cimentano in un’indagine psicologica del personaggio più interessante della tragedia shakespeariana. La tendenza del drammaturgo inglese di innamorarsi di tutti fuorché dei protagonisti fa venire fame di spin off in cui si renda giustizia alle loro vicende biografiche. Lady Macbeth è la forza di volontà che spinge la fragile determinazione di Macbeth per diventare re di Scozia. Non tutti sono disposti a giocarsi tutte le carte disponibili per realizzare quella che pensano sia la propria felicità. Lady Macbeth non sa accontentarsi di una mediocre serenità, e contagia il suo compagno con la sua ambizione e determinazione.
La cornice diegetica di “Waiting for Macbèth” lascia ben sperare. Ci attende al buio una Mariagrazia Torbidoni in perfetto stile anni ’50, con un telefono e un giornale da cui consultare necrologi per assicurarsi che, almeno stavolta, Duncan sia morto. Ci sono tutte le carte in tavola per un monologo frizzante. La divisione in atti sembra svolgersi come l’originale shakespeariana, che porterà al suicidio di Lady Macbeth. Uno schema interessante, che purtroppo non viene seguito fino in fondo. Una volta recepito il primo riferimento al meraviglioso testo da cui i Virgolatreperdue prendono ispirazione e da cui avrebbero potuto attingere a piene mani, l’impressione è quella che la compagnia non si sia spinta fino in fondo.
Mariagrazia Torbidoni è dotata di una naturale presenza scenica e di un timbro vocale invidiabile. Il suo corpo e il suo viso comunicano da sé, quasi senza bisogno di profferir parola. Quando il testo, però, presenta certe lacune, non c’è dote attoriale che tenga. Le ripetizioni dovrebbero suscitare empatia nei confronti di una Lady Macbeth in attesa che suo marito realizzi la felicità per entrambi. In molti punti si sarebbe potuto diluire il copione, proprio attraverso un’intelligente rilettura del modello. Forse lasciare tanto spazio ai silenzi cela l’intenzione di comunicare afasicamente l’ansia dell’attesa. Ma “Waiting for Macbèth” si adagia, piuttosto, su un tappeto ritmico tanto comodo dal punto di vista dell’esecuzione, quanto soporifero e incerto per la ricezione. Un’occasione sprecata per i Virgolatreperdue.
OUT IS ME – UNANORMALESTORIATIPICA
“Out is me – Unanormalestoriatipica” apre uno spaccato sul mondo dell’autismo. Lo spettacolo è messo in scena da Yuri Turci, affetto da un disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento. Con un copione denso di contenuti, la compagnia Casa Zoo cerca di rendere meno vaga l’idea di quanto sia normale l’anormalità. Con il supporto di proiezioni su schermo, Yuri Turci ci racconta in prima persona la sua storia. Una biografia costellata di fobie, relazioni e difficoltà ad accettare se stessi, proprio come quella delle persone normali.
Lo stile cabarettistico, con cui si sviluppa tutta la rappresentazione di “Out is me – Unanormalestoriatipica”, è retto perfettamente da Yuri Turci. Riesce a strappare sincere risate al pubblico che pende dalle sue labbra. La dizione tradisce le sue origini toscane senza che minino in alcun modo la buona recitazione del performer. La voce è modulata bene dando la possibilità a Yuri Turci di inscenare più personaggi contemporaneamente. Questo in particolare lo rende uno one-man-show che non ha davvero niente da invidiare a tanti attori professionisti.
La regia di Francesco Gori, vivace e frizzante, non fa calare mai il ritmo dello spettacolo. Tuttavia, ad avere delle opacità è proprio il testo, che non risulta sempre fluido e scorrevole. Sicuramente cercare di rendere organico “Out is me – Unanormalestoriatipica” avrebbe richiesto maggior lavoro per saldare insieme i diversi argomenti. Lungi dall’avere divisioni nette, sembrano piuttosto affastellati l’uno vicino all’altro in una smania espositiva che non ha ragion d’essere. La storia c’è e fa presa sul pubblico, essendo ben tarata sulle qualità attoriali di Yuri Turci. Continuando a giocare sul perno della causalità interna ed esterna si riuscirà, sicuramente, ad amalgamare meglio le varie tematiche sviluppate nella narrazione.
BIANCA COME I FINOCCHI IN INSALATA
Chissà se nasce prima il sentimento dell’incomprensione o prima quello della solitudine. La compagnia del calzino sospende il giudizio sulla causalità originante uno dei drammi più dilanianti della società contemporanea, che è condito dall’onnipresente paura dell’irreversibilità del disagio come condizione esistenziale. Questo impasto emotivo emerge con una potenza straziante da “Bianca come i finocchi in insalata”, il monologo scritto e pensato da Silvia Marchetti, che prende forma sul palco grazie ad Andrea Ramosi, che veste i panni di Bianca. Risulta chiara l’intenzione di prendere di petto il dramma della questione di genere.
Paura, solitudine e incomunicabilità attraversano tutte le relazioni con cui Bianca cerca confronto e comprensione. Dal suo amante Tonino agli alunni della famigerata quarta elementare, dall’amica Giuliana ai suoi familiari fino all’insopportabile coinquilina, nessuno è disposto ad aprire gli occhi sul suo dolore. Un dolore che la infastidisce fisicamente, con una banale gastrite che si trasforma in un’ulcera. Un dolore che diventa totalizzante, assumendo la forma di una scissione psichica evocata dalla sua stessa voce che Bianca non può non ascoltare. Accogliere gli appelli all’autodeterminazione dello Straniero che compone la complessa identità, accettare l’Altro che alberga dentro il sé è la via maestra che consente di voltare pagina e darsi una chance di affrontare il sistema del mondo come un’opportunità e non come una prigione.
La regia di Silvia Marchetti è precisa e puntuale. Una direzione artistica che trova nelle doti attoriali di Andrea Ramosi dell’ottimo materiale con cui lavorare. L’attore utilizza il suo particolare timbro vocale in modo perfetto, e con la sua presenza scenica valica i limiti del palco per investire la platea. Il pubblico non può starsene a ricevere lo spettacolo, è coinvolto immersivamente nei drammi della maestra Bianca. D’altronde, per quanto ci si crede chiusi nel solipsismo più serrato, in un modo o in un altro, le emozioni che ci angustiano straripano gli argini dell’individualità.
Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima.
George Bernard Shaw
È proprio questo che stanno facendo le compagnie teatrali che partecipano al Roma Fringe Festival. Dandoci uno specchio per guadarci dentro, lanciano un appello, umano e sociale, affinché nessuno resti indifferenti alle rappresentazioni di complessi di idee, emozioni e problemi che animano e affettano lo spirito. Finché c’è sim-patia c’è speranza.