Dopo l’esplosione di femminilità di “Go Go Diva” de La Rappresentante Di Lista (qui potete leggere la recensione) pensavo sarebbe passato chissà quanto tempo per incontrare un progetto altrettanto schietto, verace e intellettualmente stimolante. Per fortuna il mondo della musica emergente partorisce validi elementi. Impossibile non avvicinare il progetto del duo prodotto dalla Woodwarm Label e quello di Ilaria Viola, edito dalla Goodfellas e da Lapidarie Incisioni. Le familiarità iniziano dalla prepotenza della copertina: “Se nascevo femmina” non poteva avere niente di diverso da una vagina stilizzata. Ma se da un lato il disegno è minimale, dall’altro la composizione della cantautrice romana non lo è affatto.
Secondo album per Ilaria Viola, rappresenta sicuramente un’evoluzione rispetto al suo “Giochi di parole” che, inciso sempre da Lapidarie Incisioni, risale ormai al 2014. Quattro anni fa sembrava quasi che l’autrice sentisse il bisogno di farsi accettare nella sua scrittura aggressiva, che aveva reso più raffinata grazie alla morbida struttura del jazz, diluita di indie-pop. In “Se nascevo femmina” è diventata più sfacciata e orgogliosa delle sue capacità, che non sono mai state poche. Abbandonando quasi del tutto le rassicuranti melodie blueseggianti, che emergono in qualche modo in “Per mezz’ora” e “Martini”, la cantautrice sfodera un abito canoro e sonoro autoironico.
Nelle tracce di “Se nascevo femmina” serpeggia e si diffonde la romanità verace di Ilaria Viola
La sua scrittura risulta una prosa musicata, persino nella frenesia di “Bamboombeto”, duettata con Lucio Leoni, che le fa da controcanto dialettico. Una traccia esilarante che coniuga l’atmosfera di una possibile chiacchiera da bar, che oscilla tra qualunquismi e intellettualismi. Con “Leila” Ilaria Viola insegna che la psichedelia sa essere anche frenetica, in un accavallarsi di analogico e digitale, mascherando in modi sempre diversi la sua voce. “Per mezz’ora” è la ballata romantica, ma con disincanto. Anche se è della vita che bisogna essere innamorati, bisogna pretendere rispetto anche da ciò che si ama, non solo da chi. Corde pizzicate con energia, vengono tirate fino quasi a essere spezzate, proprio dove sorge la sezione ritmica con forza.
“Se nascevo femmina” è il brano femminista, dal ritmo frenetico come la vita di ogni donna. La retorica indiavolata di Ilaria Viola. Contro ogni idea prodotta e confezionata da una società maschilista, cosa significherà mai essere donna? Aderire passivamente a stereotipi o combatterli per partito preso? Nessuna delle due… E poi ritorna l’amore, sussurrato con rancore e musicato con delicatezza. In questo contrasto, su cui costruisce “Martini”, esplode infine un groove di percussioni su un tappeto di elettronica.
“Se nascevo femmina” di Ilaria Viola è una crasi originale tra l’impertinenza politica di Francesco Guccini e i ritmi ballabili di Alessandro Mannarino
Non è Ilaria Viola la penna che ha scritto “Per la gola”, ma è quella dall’amica Leila Bohlouri, ed è musicata dall’amico Daniele Borsato. È una piacevole traccia narrativa che parla di antropofagia. Lo fa con l’ironia romanesca che la contraddistingue, motivo per cui anche una storia truce fa sorridere. “La via di mezzo” è un refrain di “Se nascevo femmina”, e anche di “Martini”. Con un piglio bambinesco mostra le sue incredibili doti vocali.
laria Viola urla tra un jingle di chitarra e l’altro che una donna non dovrebbe mai sentirsi divisa. Non dovrebbe mai trovarsi di fronte a ricatti esistenziali. Dovrebbe poter essere integra. In “La via di mezzo” la voce dell’artista romana corre su e giù per le ottave, da toni più gravi a quelli più acuti. “Se nascevo femmina” si chiude con una marcetta, nutrita con infiltrazioni di elettronica. In “Mulini a vento” torna l’amore. Si dividono le strade e anche le responsabilità. La maturità di Ilaria Viola riflette dai contenuti delle liriche, ma anche e soprattutto dal trasformismo vocale che fa emergere lo studio del jazz nella tessitura sostanzialmente indie-pop dell’album. Buona la seconda. A quando la terza?