“Sicario”, a soli tre anni dalla sua uscita, è indubbiamente divenuto un cult anche per lo spettatore meno abituato. Denis Villeneuve è stato capace di inserire al suo interno alti livelli tanto di spettacolarità quanto d’intreccio narrativo, come purtroppo oramai raramente vediamo. L’ottimo equilibrio del film è stato realizzato dall’incontro tra l’acclamato regista, il direttore della fotografia Roger Deakins e lo sceneggiatore, allora emergente, Taylor Sheridan.
Il film era il primo di una trilogia cinematografica scritta da Sheridan sulla moderna frontiera americana, seguito da “Hell or High Water” del 2016, e dal recente “I segreti di Wind River”. L’enorme successo di “Sicario”, rispetto ai seguenti ha fatto sì che a Sheridan ne venisse richiesto un sequel diretto. E così è arrivato “Soldado”, con gli stessi protagonisti interpretati da Benicio del Toro e Josh Brolin, ma senza l’agente FBI Kate Macer (Emily Blunt). La formula squadra vincente non si cambia, però, non è stata mantenuta nemmeno per il cast tecnico, con la sostituzione di Stefano Sollima alla regia e Dariusz Wolski alla fotografia.
La scelta, alquanto azzardata, è dovuta probabilmente, all’elevato prestigio acquisito da Villeneuve. Ma sopratutto dall’enorme successo nel panorama internazionale della serie “Gomorra”, diretta in parte da Sollima. Il dubbio che pervade davanti un film come “Soldado”, è quanto possa reggere il rapporto con il precedente, in vista di un cambiamento così drastico di rotta. Dovendosi comunque confrontare con l’ingente capacità di Villenueve nel dirigere la tensione e la visionarietà formale unica di Deakins.
Parlare di sequel per “Soldado” è riduttivo. Sollima è stato capace di offrire nuovo spessore ai personaggi.
Sollima con tutto il suo background composto da storie di malavita urbana, con protagonisti personaggi borderline tra bene e male, riesce in modo convincente a far prevalere il suo sguardo sulla storia. Parlare di sequel per “Soldado” è alquanto riduttivo. Ci troviamo di fronte a un film capace di offrire nuovo spessore ai personaggi precedentemente affrontati mantenendo al contempo la sua unicità.
Siamo a pochi anni di distanza dagli eventi raccontati in “Sicario”. L’eccentrico comandante della CIA Matt Grover (Brolin) viene autorizzato dal governo degli Stati Uniti ad applicare misure estreme contro i cartelli della droga messicani. Il tutto scaturito da degli attacchi terroristici a Kansas City, da parte di attentatori venuti illegalmente dal confine con il Messico. Grover decide di far scoppiare una guerra tra cartelli, riformando la squadra operativa per la missione, e assoldando nuovamente il sicario Alejandro Gillick (del Toro). Tra le varie operazioni, rapiranno la figlia di un boss, Isabel Reyes (Isabela Moner), facendolo passare per un atto svolto da un clan rivale. Ma non andrà tutto per il verso giusto, e Alejandro e la ragazza dovranno intraprendere un viaggio al confine fra gli stati, rischiando la vita.
La peculiarità di “Soldado” sta nel mostrare, sin dalle prime sequenze, quanto la violenza si propaghi nel tessuto urbano.
La peculiarità di “Soldado” sta nel mostrare, sin dalle prime sequenze, quanto la violenza si propaghi nel tessuto urbano. Non si ha più a che fare con missioni svolte nell’arido deserto messicano. L’azione avviene fra le strade e in mezzo ai civili. In città, nelle piccole province, albergano i traffici d’immigrazione, e nascono nuove leve della malavita locale. Come la linea narrativa secondaria con protagonista il giovane Miguel e suo cugino Hector, che da semplici ragazzi di quartiere si ritrovano a fare da spola al flusso immigratorio illegale. Uno scenario simile a quello visto in “Gomorra” e “Suburra”, che Sollima riadatta al contesto della frontiera statunitense. In questo si differenzia da “Sicario”, in cui il suolo americano risultava un mondo da cui rifugiarsi, essere al sicuro, altro rispetto a quello violento e caotico messicano. In “Soldado”, nessuno è più al sicuro, neanche gli invincibili protagonisti.
Brolin e del Toro riprendono le vesti dei freddi e razionali agenti della CIA con cui Kate Macer si era imbattuta e scontrata nel precedente capitolo. Se con il primo non troviamo nessun sviluppo, anzi quasi una desueta caratterizzazione, il sicario Alejandro Gillick è il vero protagonista indiscusso del film. Il personaggio di del Toro, che avevamo lasciato come una figura impenetrabile e inscalfibile, in “Soldado” mostra il lato umano. Anche qui si nota quanto Sollima abbia portato il suo cinema nel racconto, ponendo maggiore attenzione ai giovani protagonisti e le loro dinamiche. Isabel, Miguel e Hector si ritrovano parte di un sistema corrotto, senza alcuna possibilità di scelta. Similmente ai ragazzi delle vele, accettano un determinato stile di vita come unica forma per far prevalere la propria persona. Ritrovandosi infine pedine in mano a persone spietate, tanto i malavitosi quanto gli agenti della CIA.
Con “Soldado” Stefano Sollima mantiene egregiamente la rotta di Villenueve, dando però spazio alla propria visione.
Stefano Sollima mantiene egregiamente la rotta di Villenueve, dando però spazio alla propria visione. Lo stesso non si può dire per il direttore della fotografia Wolski, che rimane ancorato all’impatto formale di Deakins, diventandone una mediocre imitazione. Una seconda nota dolente è il modo in cui Sheridan non è pienamente riuscito a dare alla storia lo stesso ritmo altalenante di “Sicario”, calcando la mano fin troppo sullo svolgersi iniziale del racconto. ”Soldado” non ha, purtroppo, lo stesso impatto del film del 2015. La mano di Sollima e l’attenzione alle dinamiche relazionali dei personaggi principali e secondari, però, ci restituiscono un lavoro più organico. Con “Sicario” venivamo rapiti dal flusso narrativo del thriller, con “Soldado” avremo la capacità di riflettere sulla condizione morale e psicologica dei personaggi e della situazione socio-politica al confine tra Messico e Stati Uniti.