Tommaso Tota inizia a suonare per superare la fine di un importante relazione. La musica, da subito, gli sembra il miglior mezzo per dare sfogo alla sua sincerità. Lasciata la sua amata Bologna, seppur originario di Orvieto, è nella frenetica Milano che trova spazio per sfornare 20 canzoni acustiche racchiuse nel suo primo album “CieloCasa”. Dal 2017, non si ferma più.
Arriva ad essere artista d’apertura a concerti di Gazzelle, Carl Brave, Franco 126 e Galeffi. Ed è proprio sulla superficie del nuovo cantautorato italiano che Tota fonda le sue radici artistiche. “La sindrome del giorno dopo” è il suo ultimo EP, 5 canzoni, 5 stati d’animo: la musica come mezzo attraverso il quale dare sfogo alle proprie emozioni è la forma comunicativa prescelta.
Scrivere testi è più semplice quando c’è un sentimento triste dietro. La canzone, quindi, oltre che mezzo di sfogo diventa anche strumento curativo
Il titolo, molto romanzesco o comunque letterario, racchiude quella paura, che appartiene un po’ a tutti, del giorno dopo, del futuro. L’impossibilità di programmare più di tanto i nostri giorni, specialmente adesso, è la cornice entro la quale l’EP prende forma. «Non li porto bene gli anni che ho» è il primo refrain della prima traccia: sound pop, batteria e contrasti elettronici accompagnano quello che appare come un invito urlato a viversi il presente senza, però, la possibilità di essere creduti, capiti.
La natura acustica, chitarra e voce, trova invece casa in “Saggio breve”. La voce, che ricorda un po’ l’impostazione di Fabrizio Moro, racconta il rapporto di Tota con la musica stessa. Scrivere testi è più semplice quando c’è un sentimento triste dietro. La canzone, quindi, oltre che mezzo di sfogo diventa anche strumento curativo: «le lettere si prendono per mano quando un po’ smetto di ridere».
“La sindrome del giorno dopo” è l’ultimo EP di Tota, 5 canzoni, 5 stati d’animo
“Fidati che” è invece la canzone più pop. Di nuovo una storia d’amore andata male, di nuovo la ricerca di essere la seria a per qualcuno. Anche qui, il testo, come gli altri, lascia molto spazio alla libera interpretazione laddove non c’è mai una chiara narrazione ma la descrizione di uno stato d’animo. Anche qui, c’è il mix di genere dove torna sempre scandita la batteria.
Più ritmata è invece la penultima traccia “Soffio”. L’impossibilità di immaginare il giorno dopo, l’impossibilità di assicurarsi gli affetti e la sensazione che è sempre tutto in mano al tempo. Tota lega un po’ troppo, per contenuti e sound, una traccia alla seguent , rischiando di fare un EP fin troppo omogeneo.
Tota chiude “La sindrome del giorno dopo”, questa volta con la voglia di progettare, immaginare un salto di qualità in una relazione di coppia. Seppur ogni testo contiene la sua dose di versi poetici e ben scritti, questi appaiano un po’ soffocati da una base a volte caricata non armonica, e altre volte troppo simile tra una traccia e l’altra. Probabilmente serve un album, serve tempo per creare un nuovo prodotto ancor più espressivo di questo.