Ciao a Valentina Polinori e benvenuta sulle nostre pagine. Iniziamo rompendo il ghiaccio con la nostra domanda di rito che secondo me potrebbe essere abbastanza adatta a te. Quale è stata la figura più imbarazzante durante un tuo concerto?
Grazie, sì. In realtà si tratta di un fattore tecnico. Portavo un brano live che aveva un’accordatura particolare. La corda del Re era accordata in mi. Mi è capitato di scordarmi di aver impostato questa accordatura e di continuare il concerto facendo accordi improbabili. Per fortuna poi l’ho presa a ridere palesando il mio errore al pubblico.
Invece l’esibizione che ricordi con più gioia?
Probabilmente il palco più grande e più bello è stato quello del Teatro Regio di Parma dove ho suonato per un festival. Un palco incredibile e bellissimo. Sono scesa che ero emozionatissima. Uno dei miei ricordi più belli.
Veniamo un po’ a quella che è la tua carriera musicale, hai studiato qui a Roma al conservatorio di Santa Cecilia giusto?
Si, a 14 anni ho frequentato per un anno, però poi ho lasciato senza diplomarmi. Studiavo pianoforte classico. Forse da lì ho capito che quello non era il mio mondo, c’era forse troppa competizione e forse era anche un po’ presto.
Da qui però ti chiedo di darmi una tua impressione su chi approccia la musica in maniera classica e accademica e chi da autodidatta.
In realtà forse non è importante dal punto di vista accademico, ma studiare è importante. Ad esempio io ho preso la chitarra da autodidatta, ma adesso sto prendendo lezioni. Credo sia importante capire cosa stai facendo. Inoltre è una cosa mia che sento come importante. Vedo la musica come qualcosa di serio e sento la necessità di migliorarmi e saperne di più.
Invece poi nella tua carriera non musicale ti sei laureata in storia dell’arte contemporanea, ti chiedo: cosa da la tua laurea alla musica e viceversa?
Allora, lo studio della storia dell’arte sicuramente ora mi da un po’ da vivere, in quanto io insegno a scuola e mi serve come sostentamento. Ne ho fatto il mio lavoro accanto alla musica, che risulta necessario. Poi forse ho una particolare sensibilità per tutto ciò che è creativo.
Essendo una professoressa, c’è un modo in cui ti approcci agli studenti in maniera musicale?
Loro sanno benissimo che suono. Sanno che la musica è una cosa alla quale tengo particolarmente. Forse riesco anche un po’ a passare questo sentimento. Ma le nuove generazioni credo non abbiano molto bisogno di essere istruite in quel senso. Sono molto ferrate, la musica è parte attiva della loro vita. Quando facciamo disegno mi chiedono di mettergli la musica. Mi chiedono cosa penso degli artisti, c’è sicuramente uno scambio sotto questo punto di vista.
Non è male come rapporto. Ma tra i tuoi studenti ci sono anche tuoi fan?
Non so se ci sono dei veri e propri fan, ma so che mi ascoltano. Per certi versi è una cosa che mi fa anche ridere. Sanno che suono, mi seguono, mi vogliono bene. Crea un legame diverso con una professoressa.
Veniamo all’album. È appena uscito “Trasparenti”. Potresti raccontarmelo in poche parole?
Ok, sono dieci brani abbastanza differenti tra loro. Anche come produzione musicale. C’è un legame tra tutte le tracce, sono tutte molto personali, e in generale parlano dei rapporti e di come si vivono. La difficoltà di lasciarsi andare e di accettare di essere coinvolti. Insomma affrontano delle tematiche relazionali mi verrebbe da dire. Non sono brani che vogliono insegnare nulla a nessuno, non è un cantautorato di quel tipo. Diciamo che non sono presuntuosi come pezzi.
Hai delle tue figure di riferimento ai quali ti sei ispirata?
Si, ho tante passioni e seguo tanti artisti di vario genere. Mi vengono in mente i Daughter, mi viene in mente Mac Miller. Cose molto differenti tra loro anche, potrei dire Samuele Bersani, o Gazzelle, del quale mi piace molto la scrittura.
C’è un sound molto differente sia tra le tue canzoni che nello stesso brano nelle sonorità. Come riesci a localizzarti in questo moderno mondo musicale che divide la musica in generi precisi?
Diciamo che in parte cerco di mantenermi più possibile coerente con ciò che mi piace. Non cerco di andare in una direzione piuttosto che in un’altra perché può funzionare, anzi, mi dà fastidio quando percepisco questa cosa in altri artisti., Se sento uno scimmiottamento perché va quel genere non lo sopporto. Io cerco di essere coerente con il brano e di fare solo ciò che fa bene al brano. È ovvio che poi nel contesto musicale faccia un po’ fatica a trovare qualcuno che mi assomigli, ma in realtà, ci sono gruppi che hanno un sound più originale. Vedi La Rappresentante di Lista ad esempio. Mi piace quando c’è un sound personale.
È una buona scelta in realtà.
Sì, magari fai più fatica a trovarti in una categoria. Non finisci nella categoria indie, non finisci nella categoria rock, ma va bene.
Veniamo alle ultime domande da botta e risposta. Posso ascoltare solo una traccia del tuo disco. Quale mi consiglieresti e perché?
Ti consiglierei “Bosco” perché forse è quella che mi piace di più. Forse è quella nella quale ci si può ritrovare di più. Parla di argomenti più comuni come il sentirsi persi, sospesi, intrappolati. Una condizione piuttosto comune.
La canzone che Valentina Polinori avrebbe voluto scrivere?
Ti direi “No Care” dei Daughter.
E invece quella che non avrebbe mai voluto scrivere?
“Siamo Donne” di Sabrina Salerno e Jo Squillo. Mi sta davvero antipatica. Sono favorevole al mood ma quella canzone mi dà proprio fastidio.
Ok, abbiamo finito, ti lascio spazio libero per aggiungere quello che vuoi e ti ringrazio per il tempo che mi hai prestato.
Mi è piaciuta molto la tua domanda sui generi, quindi confermo con una cosa tipo: anche se non sono troppo indie, ascoltatemi lo stesso!