"We are the FAILURE IN THE SYSTEM!", ruggiscono i CRΩHM 
Crohm

“We are the FAILURE IN THE SYSTEM!”, ruggiscono i CRΩHM 

Crohm - Failure in the System I CRΩHM vengono dalla Val d’Aosta e si vantano di essere la prima band dichiaratamente metal che sia stata fondata nella regione. Dopo aver smetallato allegramente durante gli anni ’80, però, incidendo anche un album studio, “Quake” (1986), la band si sciolse alla fine del decennio. Nel 2014, dopo 26 anni, in occasione di una rimpatriata, i membri si reincontrano, e decidono di ricominciare. Da allora, la band ha prodotto due album: “Legend and Prophecy (2015)” e “Humanity (2017)”.

Ora, vede la luce “Failure in the System”, lavoro che vuole coniugare uno squadrato heavy metal anni ’80 (con qualche venatura alternative metal) a un desolato ritratto della società odierna. Il risultato è un album particolarmente coeso e incisivo, in cui il comparto strumentale curato e pesante al punto giusto fa da perfetto controcanto alla voce profonda, un po’ alla Piero Pelù, di Sergio Fiorani.

Sospeso tra critica e speranza, “Legend and Prophecy” è un buon album Heavy Metal senza compromessi o grosse contaminazioni di genere

Come si accennava, tematica centrale dell’album è la realtà in cui viviamo. Proseguendo il discorso iniziato con “Humanity”, “Failure in the System” si concentra sulla società, con le sue contraddizioni, le sue ansie e straniamenti. Proprio lo straniamento dagli altri è forse la tematica portante di “Failure in the System”, con testi che parlano di solitudine e depressione (“Deep Blue”, “Until You Disappear”, “Eleanor Rigby”, cover metal dei The Beatles, “The Man Without a Voice”, “Mountains” ).

Eppure, nella “negatività” delle tematiche irrompe una certa rabbiosa speranza di fondo, che il sound pesante ma pensato non può non accentuare. Strumentalmente, la cura investita dai CRΩHM  nella costruzione dei pezzi è evidente. “Failure in the System” scorre velocissimo, nonostante la dimensione, sfoggiando un ritmo rapido e mai uguale a sé stesso.

L’album si apre subito con la title track, che picchia forte e si imposta subito su un Heavy/Alternative Metal tosto, che procede senza pause in “Reset”. Dopo l’intermezzo più rock di “Castles of Sand”, che rallenta il ritmo su un tono più riflessivo, “What is Behind” monta ossessiva e durissima a urlare “cosa è rimasto indietro”, con un refrain quasi System of a Down.

La rabbia non si spezza con “My Brother”, che la modula soltanto con un tortuoso tapping di chitarra. “Deep Blue” è una sorta di pesante e ruvida ballad sulla depressione, ma forse si tratta della canzone meno incisiva dell’album, complice un testo non abbastanza musicale ed espressivo per reggere un ritmo così pensoso.

Dopo 26 anni di pausa, Crohm continuano a levigare il loro sound verso un ritorno alle “origini” del genere

“Eleanor Rigby”, come da classica tradizione metal, viene presa e rivoltata come un calzino dal passaggio di genere. Da canzone dolce e malinconica, per niente rock, quale era, diventa una canzone quasi allegra. L’esperimento non mi ha esattamente convinto, ma sicuramente in questa versione si lascia volentieri ballare in un live.”Until You Disappear” usa le premesse di “Deep Blue” e le esegue in modo più convincente, indurendo i toni e risultando più credibile.

Allo stesso modo, “The Man Without a Voice” rallenta i toni avvolgendo il suono dei CRΩHM con una patina malevola ed efficace. “Ride The Storm (I am Crohm)” e “Fire and Ice”, picchiano durissimo ancora sulla formula heavy metal stile Metallica, per poi lasciare il posto alla critica sociale di “The Wash Sin Machine” (Sin-Washing Machine?).

Le ultime due tracce, tratte da “Legend and Prophecy”, cambiano bruscamente il tono, mettendo in mostra la propensione dei CRΩHM  per il folk e l’epica. “Legend and Prophecy” e “Mountains” sono due pezzoni folk metal che non potranno non far pogare il loro pubblico fino al Ragnarok e oltre. Con questa chiusura inaspettata si chiude un  album coerente, personale e ben fatto, che consiglio caldamente a metallari vecchi e nuovi.