Se si parla di rap, di anni 2000, o più nello specifico di “rap bianco” si parla di Eminem. Ma non solo: Eminem ha rappresentato una rivoluzione musicale in un tempo in cui era difficile uscire dagli schemi e dalle linee ormai tracciate. Il rapper bianco che voleva essere nero? No, il rapper bianco che voleva raccontare i problemi dei bianche come un nero. Questa forse è una definizione più appropriata.
Le difficoltà di portare alla luce un lavoro del genere, nonostante la produzione di Dr. Dre, sono molteplici. Entrare nel rap da bianco a quell’epoca, voleva dire lavorare il doppio degli altri e lasciare il segno. Ma perché proprio quest’album? Beh, in questo caso Eminem ha dato tutto se stesso per entrare nella vita delle famiglie tipo americane e sconvolgerle. Sì, perché lui ha portato alla luce i problemi delle famiglie e dei ragazzi americani, e in special modo di Detroit, come nessuno aveva mai fatto prima.
Si aggiunga che le metriche, il linguaggio e i giochi di parole usate da Eminem sono al limite dell’assurdo, tanto poi da portare alla luce il nome “Rap God”. Questo rende di Eminem oltre che l’artista che ha venduto di più al mondo, con i suoi 11 milioni di dischi solo in America, anche il primo bianco che ha avviato una rivoluzione, prendendosi quasi con la forza il rispetto che gli era dovuto.
Eminem ha saputo, in un periodo di forte razzismo, anche artistico, dare coraggio a tutti di fare quello che volevano. Il Grunge non era più solo da bianchi, e il rap non era più solo da neri. Tutti potevano fare tutto, con una sola regola. L’impegno. Se vuoi diventare qualcuno e avere successo, devi mettere anima e corpo in quello che fai, senza avere paura. Ovviamente ci vuole anche talento.