ACO: "La mia speranza quando canto di gioia è che la gioia sia contagiosa"
Il cantautore ACo in uno scatto promozionale.
Il cantautore ACo in uno scatto promozionale.

ACO: “La mia speranza quando canto di gioia è che la gioia sia contagiosa”

ACo, benvenuto su Music.it! È un vero piacere averti sulle nostre pagine, siamo molto curiosi di conoscerti! Ma non perdiamoci in chiacchiere ed iniziamo subito con un tuo ricordo: racconta ai lettori un aneddoto goliardico legato al tuo percorso musicale.

Ciao a tutti! Innanzitutto grazie a voi per avermi invitato in questo bellissimo spazio virtuale. Sarà un piacere per me raccontarvi qualcosa su questo progetto. Dunque, la prima cosa che mi viene in mente risale ad un passato lontano, precisamente a uno degli ultimi saggi di pianoforte a cui partecipai. Eravamo in una chiesa e l’insegnante costrinse tutti i partecipanti a vestirsi da suore per cantare delle canzoni di “Sister Act”. Ricordo tutto l’imbarazzo provato durante il saggio e non per “Sister Act” ma per il vestito da suore che indossavo. Avevo il terrore che qualcuno immortalasse il momento per usarlo contro di me una volta diventato un cantante famoso! (Perché avevo le idee chiare).

La prima domande è facile: Chi è ACo?

Queste tre lettere hanno una lunga storia e me le porto dietro fin dall’infanzia, da quando durante un’estate particolarmente bella e piena di amici, qualcuno mi soprannominò Fra Tack (alludendo simpaticamente alla mia rotondità); poi divenne Ack, poi Ackino, poi Acko, Aco e infine ACo.
Oggi per me ACo è un luogo speciale in cui il mio mondo può essere abbracciato ed espandersi in senso comunicativo, così la A di Adriano si fonde con il Co e dentro il Co c’è un sacco di roba.
ACo sono io, è il mio nome d’arte, ma è anche una band che sa accogliere, comprendere, sostenere, un gruppo di collaboratori che aiutano in modi diversi.

Quali sono stati gli artisti che hanno marcato e lasciato un segno indelebile nella tua formazione musicale?

Qui potrei aprire una lunghissima parentesi, ma cercherò di limitarmi a pochi nomi significativi.
The Cranberries sono stati la mia prima grande fissa quando ero un bambino: a 9 anni sapevo già a memoria quasi tutte le canzoni e giocavo a imitare la voce della grande e indimenticabile Dolores O’Riordan. Ho seguito anche Elisa fin da bambino, amata soprattutto nei suoi episodi meno conosciuti al grande pubblico. Inoltre, grazie ad Elisa ho potuto esibirmi per la prima volta come ACo, aprendo il suo concerto per il fan club nel 2012 e 2015. Quell’esperienza mi ha aiutato a capire la mia strada. Poi sicuramente Tori Amos, Radiohead, Daniele Silvestri, Jeff Buckley, Alanis Morissette, dovrei fare troppi nomi.

Se dovessi menzionare un nome in particolare?

In questo caso direi Peter Gabriel. Scrivevo canzoni da più di 10 anni e in tanti mi avevano detto «sembra una canzone di Peter Gabriel», ma non avevo mai dato peso alla cosa. Quando l’ho ascoltato, epifania: nei suoi arrangiamenti e nelle sue melodie c’era quella fusione di stili che da sempre cerco nella mia musica, senza limitazioni, senza paura. Ah, Peter!

Quando hai iniziato a scrivere canzoni e quali sono stati i motivi che ti hanno spinto a farlo?

Il tormento interiore. Una profonda solitudine. Tante domande a cui non sapevo dare risposta. E una buona dose di noia. Di base avevo un gran casino dentro e sentivo di doverlo buttare fuori, per esorcizzarlo tipo la scena de “Il miglio verde”. Volevo vederlo meglio, comprenderlo, sperando poi di risolverlo e curare; invece ho solo imparato a riconosce il dolore come mio e conviverci serenamente. Certo, le mie prime canzoni non sono una passeggiata dal punto di vista emotivo.
Forse a ventinove anni non ho più tutto quel casino e adesso infatti scrivo di meno e con meno foga, ma è rimasto sempre l’intento comunicativo, anche se più sereno.

Cosa rappresenta per te “(N)”? Raccontaci di come è nato questo tuo album.

“(N)” per me rappresenta un esperimento. Un primo passo. Una grande scuola. Non lo considero nemmeno un vero e proprio primo disco, ha una sua identità, motivo per cui non ho voluto mie foto nell’artwork esterno del disco ma solo all’interno. Quando sono entrato al Saint Louis College of Music e parallelamente in alcuni bellissimi cori (Le Mani Avanti e Flowing Chords) ho conosciuto tantissime voci meravigliose e ho pensato che sarebbe stato bello cantare insieme a loro alcune mie canzoni. Lo avrei fatto come al solito, registrando con pochi soldi e pubblicando online. Poi Gabriele D’Angelo (direttore del Le Mani Avanti e cantante ospite nel disco) mi ha suggerito di fare un EP e io sono impazzito creando questo progetto gigante, un po’ missione suicidio sotto vari punti di vista. Ma ne è valsa la pena e ora a queste canzoni saranno per sempre legate a quelle persone.

La tua voce è una lama tagliente che trafigge ed emoziona il cuore di chi ascolta: cosa desideri far arrivare a chi ascolta la tua musica?

Questa è difficile. A volte mi rendo conto che quando canto è l’unico momento in cui riesco a lasciarmi davvero andare, togliere completamente il filtro dei pensieri. E allora non penso nemmeno a cosa voglio far arrivare. Non riesco a pensare al suono, alle note. Sono completamente dentro il testo e mi interessa che alle persone arrivi solo l’emozione. La mia speranza quando canto di gioia è che la gioia sia contagiosa. Quando canto di emozioni negative (cioè la maggior parte del tempo), paure, rabbia, angoscia, malinconia e profonda tristezza, mi piace pensare che qualcuno ascoltando possa riconoscersi e in qualche modo sentirsi meno solo, trovare la forza per reagire, o accettarsi nelle proprie complessità, sentirsi capito e accolto, proprio come me dentro l’abbraccio di ACo.

Cosa nascondi nel cassetto? Nuovi progetti all’orizzonte?

“(N)” è un progetto che ha ormai un paio di anni e finora io come tutta la band siamo stati anche molto impegnati nel terminare i nostri studi al Saint Louis. Tutta questa fase è stata un po’ come il riscaldamento prima di una partita. Ora siamo pronti per voltare pagina e iniziare un nuovo capitolo. Stiamo lavorando su nuove canzoni ma anche nuovi arrangiamenti di quelle già pubblicate (senza le voci ospiti però), ci saranno nuovi concerti e sto preparando gli spartiti per un primo disco che si prospetta molto rock.

Chi sarà ACo tra vent’anni?

Aiuto. Considerando che ho nel cassetto un centinaio abbondante di canzoni (e intendo pubblicarle tutte), tra vent’anni conto di avere una bella discografia alle spalle, una vita ricca di concerti e di emozioni. Mi piace pensare che le canzoni (almeno alcune) abbiano raggiunto tante persone e in qualche modo abbiano trovato un posto nel mondo. Negli ultimi vent’anni sono cambiate tante cose in modo inaspettato, chissà cosa accadrà nei prossimi.

ACo, ti ringrazio per essere stato con noi e per il tempo che ci hai dedicato. Le ultime righe sono per te, se libero di dire ciò che vuoi: spazio alla fantasia! Ciao e a presto!

Grazie a voi, a chi sta leggendo. Spero di rivedervi presto con qualche bella novità.
Allora, vorrei chiudere con un pensiero. Anzi due. Il primo è rivolto a chi ascolta la musica, chi la ama e la segue. Voi siete il motore, comprate la musica che vi piace, non fermatevi a quello che sta in superficie, ma scavate per scoprire e diffondete le vostre scoperte. La musica unisce i popoli e le esperienze di vita. E credo proprio che ne abbiamo bisogno.

Siamo completamente d’accordo con te. E il secondo pensiero?

Il secondo è rivolto a chi sente di avere qualcosa da dire. Non per forza tutti quelli che studiano musica; anzi apprezzo l’onestà di chi studia musica ed è molto bravo ma vuole essere al suo servizio senza creare niente di nuovo. Siamo pieni di progetti che nascono e muoiono solo per fare rumore e non dicono niente, perché in verità non c’era l’urgenza artistica ed espressiva a muoverli. Chi invece ha qualcosa da dire, di vero, chi ha il cuore che urla emozioni, non le lasci morire. Anche quando ti dicono che quello che fai non ha senso, non ha una collocazione nel mercato musicale attuale. Non arrendiamoci!