CALCINCULO - Babilonia Teatri critica la società e la sua ingannevole giostra
Valeria Raimondi in "Calcinculo" di Babilonia Teatri. Fotografia di Eleonora Cavallo.
Valeria Raimondi in "Calcinculo" di Babilonia Teatri. Fotografia di Eleonora Cavallo.

CALCINCULO – Babilonia Teatri critica la società e la sua ingannevole giostra a suon di musica

Chi non ha mai provato l’ebbrezza di levare un braccio verso la posticcia coda di volpe sull’arcinota giostra? E non certo per il premio, ma per la gioia liberatoria della spinta calciata al compagno d’impresa, lanciato verso le stelle nel turbinio gipsy di luci tutt’intorno.

Un calcinculo verso l’alto, un confuso sfogo nazionalpopolare, un ritaglio d’anarchia irrilevante e solipsistico. Questo è il sapore, fra l’amaro e il caramellato, dell’ultimo pregevole lavoro di Babilonia Teatri. Un quadretto scioccante inscritto nel ludibrio rozzo d’una sagra para-politica, di un carosello populista piantato nel sottosuolo di paure che causticamente bruciano ogni ideale, che riduce i programmi a slogan, logorando i sogni.

Babilonia Teatri, Leone d’Argento alla Biennale Teatro 2016, si conferma raffinata avanguardia di ricerca nel campo del “pop”.

“Calcinculo” è uno spettacolo dove le parole prendono la forma della musica, composta da Lorenzo Scuda e interpretata da Valeria Raimondi. La sua ottima vocalità viene prestata all’abilissima parodia dei moventi psico-sociali della nostrana musica pop e sedicente indie. Di per sé, il piacevole gioco “vale il biglietto”. Ma lo spettacolo è molto di più.

L’impianto drammaturgico alterna il canto ai vibrati contro-monologhi di Enrico Castellani, posseduti dalla rabbia spaurita delle più estreme periferie. Non solo né tanto quelle della povertà materiale, ma di quella emotiva e culturale. Imposte e nutrite da linguaggi mediatici proni alla politica del consenso, intessuti d’un consumismo impoetico veicolato nei meandri dell’inconscio, dove tutto ciò che è trovato è cancellato.

“Non ho più mani per dire terra / non ho più bussole per dire dio / non più occhi per dire bello / non più un corpo per dire io”.

Una sfilata di cani, veri e abbaianti, stigmatizza la perdita del senso umanistico del bello. Scarnificati, de-umanizzati così i confini della rappresentazione, non resta che smettere il teatro, come annuncia Enrico Castellani. Nulla è metaforicamente più rappresentabile come spettacolo, dopo lo spettacolo assoluto dell’ISIS, l’opera corale dell’atto terroristico ripreso da ogni angolazione.

Pregio più grande, oltre alla brillante mixata drammaturgica in equilibrio fra canzone e infilata monologante, che frulla temi come un vero calcinculo, è forse la naturalezza con cui Valeria Raimondi e Enrico Castellani portano questo nichilismo sulla scena. Il rischio poteva infatti essere il decalogo di cliché triti e ritriti, la lamentazione da vecchiarello di paese di fronte alla vita senza più ideali. L’assenza di retorica nella voce e nei corpi rende invece intima e leggera l’invettiva.

Il pregio più grande di “Calcinculo” è forse la naturalezza con cui Valeria Raimondi e Enrico Castellani portano questo nichilismo sulla scena.

È piccola ma significativa la presenza operante di Luca Scotton, che dirige la scena da un angolo del palco, poi irrompe, danza, e se ne va. Come quando alle sagre di paese qualcuno inizia a ballare davanti al palco, imbarazza i presenti. È il commento perfetto alla scena, il suo senso d’essere estraniato e popolare.

Babilonia Teatri, Leone d’Argento alla Biennale Teatro 2016, si conferma raffinata avanguardia di ricerca nel campo del “pop”, ovvero di un linguaggio aperto all’ascolto del mondo nel suo non-aulico accatastarsi di voci, spesso stridenti, provocatorie, amare. Non un teatro come mondo, ma un mondo che può salvarsi nel teatro, mettere ordine e trovare un briciolo di senso, almeno estetico, nel suo canzonatorio e cantato riflesso scenico.