I The Doormen tornano con il loro disco a distanza di quattro anni dall’ultimo lavoro. “Plastic Breakfast” è il quarto album della band ravennese, che si discosta dai precedenti lavori per varie interessanti ragioni. Il primo lavoro omonimo e il secondo “Black Clouds” erano solo l’inizio di un percorso comunque consapevole e già maturo. Con “Abstract [RA]” i The Doormen si aprono la strada per la sperimentazione. Al loro gusto distintamente Britrock si aggiunge una linea psichedelica che regala loro un’identità ben precisa all’interno della discografia non tanto italiana quanto in quella internazionale.
Una carriera la loro che infatti si è distinta nel nostro paese negli ambienti più alternativi. A produrre il primo album è stato Paolo Mauri, che aveva già lavorato con band del calibro di Afterhours e Tre Allegri Ragazzi Morti. Mentre nel 2013 hanno intrapreso un minitour composto da tre date in locali storici quali il The Water Rats, The Pavilion e Dublin Castle. Ancora nello stesso anno, hanno avuto l’arduo compito perfettamente riuscito di aprire lo show a Paul Weller all’interno dell’Umbria Rock Festival. Un percorso dunque che ha sempre guardato a superare i confini piuttosto che scavarsi un posto anonimo all’interno del pop contemporaneo italiano.
Con “Plastic Breakfast” i The Doormen superano i confini piuttosto che ricavarsi un posto nella discografia italiana.
Con “Plastic Breakfast” i The Doormen decidono di fare un passo indietro e rinunciare alla sperimentazione del loro ultimo lavoro in nome di una coerenza più profonda. Si ritorna così alle ambientazioni anni ’90 con arrangiamenti ben calibrati e che non risultano mai anacronistici. Soprattutto ritrovano il loro posto le chitarre, come si nota nella travolgente “Have You Ever”, ma anche ritornelli orecchiabili come in “My Advice”. Così gli elementi più di avanguardia presenti nel precedente lavoro si trasformano in virtuosismi più diffusi, come testimonia “U.R.U.”, una delle più interessanti delle dieci tracce di “Plastic Breakfast”.
Post punk, brit rock e anni ’90, abbiamo detto: tutti ingredienti che si pongono come punti fondamentali dell’identità artistica dei The Doormen. Perché fondamentalmente il loro punto di forza è proprio quello di ripercorrere generi già vissuti senza mai cadere nel già ascoltato. Se la voce di “Vins” Baruzzi si posa su registri già appartenenti a cantanti quali Paul Banks degli Interpol, o Tom Smith degli Editors, non si può definire una mera imitazione. Anche quando si fa chiaro l’omaggio a Morrissey lungo tutto l’album, i The Doormen dimostrano di aver imboccato la strada giusta per uscire da un impasse italiano dal retrogusto pop in nome di una nuova identità.