Benvenuti a Il Triangolo su Music.it. Oggi abbiamo Marco con noi. Abbiamo la tradizione di non iniziare in maniera canonica le nostre interviste. Voi che avete fatto tanti live in giro per l’Italia, avete un ricordo di un momento particolare e imbarazzante accaduto durante un concerto?
È una bella domanda, mi devo preparare (ride). Avendo suonato anche in tanti locali piccolini, di cose e imbarazzanti e particolari ce ne sono successe diverse. Specialmente riguardo situazioni tecniche, o magari alloggi dati in prestito in condizioni alquanto instabili. La prima cosa che mi viene in mente riguarda la prima data del nostro primo tour a Napoli. Ricordo che arrivati gasatissimi in questo localino, che faceva suonare band underground, chiamato George Best Music & Football proprio in centro a Napoli, vicino Piazza del Gesù.
Sono tutto orecchi.
Il locale era uno scantinato veramente piccolo, abbastanza caratteristico, in cui c’era un’umidità micidiale. Avevamo lasciato lì gli strumenti intorno alle sette di sera circa per prepararci alla serata. Quando abbiamo finito di suonare, intorno a mezzanotte e mezza, abbiamo ricaricato tutto in macchina, e l’umidità era tale che gli strumenti erano bagnati. C’erano gocce d’acqua ovunque, custodie completamente fradice. Sembrava avesse piovuto, invece era solo la condizione di umidità del locale. E la cosa divertente è che a quella serata sono venute due persone di numero. Il modo migliore per iniziare il tour (ride). Sai, quando inizi questo tipo di tour, specialmente nell’underground, queste cose capitano.
Come iniziare col piede giusto, insomma. Parlando proprio dei vostri esordi nel 2012, vi ricordate il momento esatto in cui è nato Il Triangolo?
MI ricordo assolutamente il momento perché è stato un cambiamento nelle nostre vite. Noi siamo di Luino, che è una cittadina sul Lago Maggiore, quindi ci siamo conosciuti logicamente lì e suonavamo insieme in altri progetti adolescenziali, anche prima de Il Triangolo. Finito il liceo ci siamo iscritti all’università a Milano, e ci siamo detti: «Luinesi a Milano, proviamo a formare un progetto nuovo»; io avevo delle nuove idee, ero preso bene per questo sound un po’ rétro, un po’ spaghetti western. Allora ho provato a scrivere canzoni sotto questa chiave, cosa che non avevo mai fatto visto che prima scrivevo solo canzoni punk rock.
Un po’ come tutti noi, che siamo cresciuti a punk e metal.
Esatto. Sì arriva o dal punk, o dal metal. Le cose son due se suoni la chitarra (ride). E quindi abbiamo cominciato a bazzicare in queste sale prova in affitto a Milano e abbiamo provato a fare questo tipo canzoni. Il risultato ci è piaciuto già dalla prima prova, e quindi abbiamo continuato su quella via. Poi ci siamo iscritti a un concorso organizzato da Ghost Records, che poi è diventata la nostra etichetta, e abbiamo subito iniziato a fare qualcosa di un po’ più importante.
A proposito del discorso del cambiare genere, quali sono sono gli artisti che vi hanno ispirato per questa band e questo sound?
A livello di sound chi ci ha più ispirato sono stati sicuramente i The Last Shadow Puppets. Probabilmente li conosci, si tratta del progetto parallelo di Alex Turner degli Arctic Monkeys e Miles Kane. Anche loro hanno delle sonorità abbastanza vintage, e ci piacevano tantissimo. A livello di testuale, o concettuale, non nego che i Baustelle mi hanno aiutato tanto, e rimangono una delle mie band preferite italiane. Se ci fosse qui il mio socio ti direbbe sicuramente i Pulp, e tanti altri. Ma i primi tre che mi vengono in mente sono questi.
E da lì, escono i primi due album. Ora siete stati fermi per circa 5 anni. Non tu, perché so che sei in pianta stabile con i Ministri, hai lavorato con altri gruppi, sei passato da Le Luci della Centrale Elettrica. Insomma, avete lavorato tanto. A oggi, invece, cosa cambia ne Il Triangolo rispetto a 8 anni fa? Con che piglio avete preso quest’album, e quali differenze ci sono?
È passato un lasso di tempo in cui è cambiato tanto a livello di scena italiana. Ci siamo persi la parte indie, insomma (ride). Per noi è un po’ come riproporci quasi da zero. Ci dobbiamo rimettere su un mercato che è una novità. I nostri ascolti sono, logicamente, molto cambiati. Abbiamo cercato di fare un disco sempre con delle venature vintage, ma un po’ più hi-fi. Volevamo avere una produzione più ordinata, sempre perché le nostre precedenti sono state sempre un po’ punk come approccio alla produzione e come sound. Adesso abbiamo 30 anni, abbiamo fatto il callo su altre sonorità, specialmente io che sono un onnivoro musicale: ascolto veramente di tutto. La roba vecchia va bene, mi gasa, ma ascolto tanta elettronica, anche avant-guard.
Beh, è importante per piazzarsi all’interno del mercato e capire come funziona e gira la musica d’oggi.
Esatto, mi diverte anche dal punto di vista dell’acustica. Io mi diverto a fare piccole produzioni per altre persone e mi piace ascoltare tutte queste sfumature. Sfumature che sono finite in parte in questo disco, ci sono qua e là dei richiamini. Non li definirei di elettronica, ma di un synth un po’ più moderno, qualche campione e un po’ di vocoder.
E se ti chiedessi di raccontare l’album in poche parole e spiegare perché vale la pena ascoltarlo, che mi diresti?
Vale la pena ascoltarlo perché è un disco fatto secondo le nostre abitudini. È un lavoro formato da tanti piccoli tasselli, storie che se vengono ascoltate insieme poi possono dare davvero qualcosa e formarne una più grande. Tanti piccoli capitoli che vanno a formare l’album “Faccio un cinema”. Noi abbiamo sempre giocato su questa cosa del cinema, e prendiamo tanto spunto anche dal cinema oltre che dalla musica. E questo terzo album è un po’ il tripudio di questa nostra caratteristica. “Faccio un cinema” ha un doppio significato. Significa anche che: “Okay, sono passati 4/5 anni. Prendo in mano le redini, mi alzo dal divano e come si suol dire “Faccio un cinema”. Cioè faccio qualcosa di grande, di importante. Questo è quel che abbiamo provato a fare con questo disco.
Legandoci invece al discorso fatto poco fa. Voi avete suonato molto live, ma la musica è cambiato rispetto a qualche anno fa e si lavora tanto sui social. Secondo voi, quanto è ancora importante suonare live?
È tanto importante, sicuramente. Tanto quanto lo era anni fa. È cambiato il modo e la concezione del live. Mentre una volta dovevi suonare, oggi vediamo tanti live che non devono più per forza essere delle performance suonate ed eseguite tecnicamente con degli strumenti. Vediamo oggi gli anni della trap dove, in questo caso, il live è diventato più uno show visivo. Non c’è neanche più il concetto di base. Il trapper mette il disco, a volte con la sua stessa voce, e non fa altro che cantarci sopra. La parte dell’esecuzione, e quella tecnica, si è un po’ scissa da quella che è invece era la proposta live. Non dico che è un male, non sto criticando questa cosa. Si sono creati nuovi tipi, concetti ed espressioni di live. Però, è sempre altrettanto importante.
Sempre sul discorso social, potrebbe sembrare più semplice la diffusione della propria musica. Ma con il fatto che oggi tutto è alla portata di tutti, dove basta scaricare qualche sample sul PC per fare un piccolo brano che possa funzionare, non credi possa essere più difficile trovare qualcosa di originale?
Parlando di musica, trovare qualcosa di originale è sempre più difficile, specialmente per come l’occidente l’ha creata e suddivisa. Noi ci affidiamo su delle note e sono quelle (ride), è molto banale il discorso. Andando avanti nei decessi sarà sempre più difficile creare cose originali. Ora siamo in un periodo di grande passaggio. Come dicevi, usando piccoli campioni, sample, è più facile, ma così si può creare davvero cose nuove. Stavo parlando con i miei amici di Splice, usato tantissimo dai producer. Una piattaforma dove si carica musica, si scarica gratuitamente, proprio Royalty-free. Questo ha permesso di creare un nuovo modo di arrivare alla canzone, cioè quello che io chiamo il collage. Questi sono i nuovi metodi che possono far sì che si trovino cose originali. Cioè cambiare il metodo iniziale.
Proprio l’approccio alla scrittura della canzone.
Esatto. prima l’approccio era suonare ciò che poi sarebbe diventato la canzone. Ora l’approccio potrebbe essere orizzontale, quindi incollare. Un po’ come dire che quegli artisti che passano anni a comporre con la chitarra, poi si mettono a imparare a suonare il pianoforte, e trovano nuove idee e nuova vita come artista. Un po’ lo stesso concetto.
Anche come Cesare Cremonini, che disse: «Se io dovessi suonare solo la chitarra, sarei legato». Tornando “Faccio un cinema”, delle canzoni che avete fatto, e te lo dico da musicista che pensa che tutte le canzoni sono l’equivalente di un figlio e si vuole bene a tutte nella stessa maniera, ce ne è una che in qualche modo preferite e sentite più vostra rispetto alle altre?
La più personale, partendo dal presupposto che ti parlo di me perché i testi li scrivo io, intensa e sofferta nello scriverla è sicuramente “Il giorno sbagliato”, il pezzo più acustico. Parla di vita, sempre in chiave tragicomica come piace fare a me. Parla di questi ultimi anni che sono stati abbastanza densi, dove si è anche tentennato, e abbiamo fatto fatica ad arrivare a questo disco. Abbiamo fatto più passaggi dicendo: «Caspita, questa non è la via giusta, ripartiamo dall’inizio». Sai, dopo diversi anni non più così facile, come farlo a 20 anni, dove c’è una certa facilità perché vivi in un certo modo. Adesso che abbiamo 30 anni far coincidere tutto non è sempre così semplice. Sì, è questo il brano che sento più personale.
Progetti per il futuro? Se avete già tour, date live, qualcosa da anticipare al pubblico, è il momento di dirlo.
Il tour lo pubblicheremo a brevissimo, magari tra un paio di settimane. Stiamo raccogliendo le ultime date da mettere insieme per mettere un gruppetto un po’ più folto. Questo è, fondamentalmente, il progetto per quest’anno: suonare il più possibile e fare anche un tour estivo. Sempre parlando di “Il giorno sbagliato”, uscirà un piccolo videoclip legato a questa canzone, e sarà un’uscita molto particolare e speciale per noi. E poi, ovviamente, continuare a scrivere nuovi pezzi. Ora che abbiamo rimesso in modo la macchina non vogliamo fermarci.
Passerete da Roma?
Passeremo anche da Roma. È una di quelle date che deve essere confermata. Non appena le pubblicheremo vedrai anche la data romana.
Allora magari ci vediamo e prendiamo una birra! Ultime due domande, sono quelle brutte. Quindi, preparati. La canzone che avresti voluto, o avreste voluto, scrivere? Ovviamente non vostra.
Ne sto pensando un milione. Mi avevano fatto anni questa domanda e avevo risposto “Every You Every Me” dei Placebo, e te la ripeto.
Ottimo, rimani fedele a te stesso! E invece il contrario: c’è una canzone, sempre non vostra, che non avreste mai voluto scrivere?
Una qualsiasi canzone di Povia. Non sopporto Povia.