“Le coup ─ Il suolo ti farà vacillare” è uno spettacolo che fa pensare molto, abbandonando lo spettatore con la mente brulicante di spunti di riflessione. Il copione redatto da Martina Tiberti scatena un esercito di possibili interpretazioni sulla messinscena. La linea narrativa abbozza soltanto la banale consapevolezza della complessità dell’esistenza, che la drammaturgia di “Le coup ─ Il suolo ti farà vacillare” fa emergere con schiacciante semplicità. La dimensione futura è inquadrata a metà tra proiezione e realizzazione, la scelta di realizzare i propri sogni genera vertigine, paura del vuoto, che è insieme paura del fallimento, per il quale l’unico rimedio sembra l’immobilismo. Il filo, piuttosto che essere metafora ossessiva del dipanarsi dell’esistenza, si fa unico vero soggetto con cui l’attrice ─ e con lei i vari personaggi interpretati ─ entra in relazione.
Il superbo lavoro di Raffaele Balzano fortunatamente riempie ─ con movimenti scenici-aerobici che Aurora Piermarini Bilato dimostra di padroneggiare molto bene ─ molti dei vuoti espressivi lasciati dall’attrice.
Il filo è sostegno, il filo è libertà, il filo è emancipazione, il filo è unico e inadatto strumento di realizzazione di un’umanità marchiata dalla solitudine. Non è neanche importante se ci sia un chi dietro la voce che saccentemente chiede ad una bambina “cosa sarai da grande?”, soprattutto perché a sostenerla nella crescita e nella maturazione ─ nel transito dal filo come sostegno al filo come impervia strada da percorrere, nella rimodulazione dei sogni e delle aspirazione ─ è la favola (vera) del funambolo Philippe Petit, degno rappresentante di un egoismo individualista, che usa la relazione con l’altro unicamente per superare l’umana paura che lo coglie, immagine del genio incapace di stare nei limiti strutturali e strutturati della società, scegliendo di passarci attraverso, sospeso in equilibrio nel vuoto, elemento già denunciato dalla bambina, che sembra superabile soltanto con un’indefinita crescita che esondi gli argini della coscienza per invadere la fisicità, una crescita che la porterà alla consapevolezza che certe aspirazioni rimangono eternamente sigillate nella sfera desiderativa, perché è solo da lì che esercitano un valore regolativo.
Il filo è sostegno, il filo è libertà, il filo è emancipazione, il filo è unico e inadatto strumento di realizzazione di un’umanità marchiata dalla solitudine.
Il teatro concettuale di Martina Tiberti è elegante e leggero nonostante la densità dei temi affrontati, grazie al duro lavoro di regia di Raffaele Balzano, indispensabile per distinguere i momenti drammatici. Il primo narra le emozionanti pagine di cronaca legate al funambolo, momento in cui ogni possibilità alternativa è cristallizzata nel “già stato”, dislocato al di là della scena nella platea, dove effettivamente si concretizza in biografia ogni risoluzione di conflitto esistenziale. Sul palco è, invece, inscenata la possibilità del qualcosa, il lavoro di approfondimento del sé, i desideri e le ambizioni. La discesa finale della bambina sul piano del “già stato” significa che la storia continuerà a ripetersi solo affrontando la paura di camminare-verso, che sia nel vuoto o sul suolo è irrilevante. Dirimente è, invece, l’esercitazione continua per fronteggiare le eventualità, allegoricamente stigmatizzate nel vento, agente patogeno in grado di alterare l’equilibrio conquistato, costruito, consolidato. La “passeggiata” finale di Aurora Piermarini Bilato corona la ricomposizione dei due piani drammatici. Nei panni di una bambina emancipata dal piano dell’onnipotenza dei pensieri e in grado di muoversi sul piano dell’esistenza reale in cui le possibilità si vivono, si fanno e dunque si trasformano in esperienza, l’abbiamo ammirata mentre camminava confidente e sicura di sé sul filo tra gli spettatori.
Il teatro concettuale di Martina Tiberti è elegante e leggero nonostante la densità dei temi affrontati, grazie al duro lavoro di regia di Raffaele Balzano.
Mi domando se non sarebbe stato meglio sacrificare la spettacolarità dell’ultima prova di Aurora Piermarini Bilato, che si è rivelata una buona acrobata più che una brava attrice. Pur essendo il testo interpretato come un monologo, il superbo lavoro di Raffaele Balzano fortunatamente riempie ─ con movimenti scenici-aerobici che Aurora Piermarini Bilato dimostra di padroneggiare molto bene ─ molti dei vuoti espressivi lasciati dall’attrice, che riesce a calarsi nella parte solo quando questa è riducibile a macchietta. Poiché l’unica narrazione contenuta dal copione è una certa rielaborazione della biografia del funambolo Philippe Petit, essendo quella della relazione tra la bambina e il filo piuttosto una metafora, “Le coup ─ Il suolo ti farà vacillare” è piuttosto una rappresentazione di concetti. Ma non c’è davvero bugia più grave di quella relativa alla fredda astrattezza del concetto: lungi dal generare indifferenza nello spettatore, quando si incontra con un metro espressivo performato adeguatamente, questo lo appassiona, lo logora, lo spaventa, ma non lo lascerebbe mai rigido e vuoto.