LUCA ERI: "La musica contiene in sé una qualche forma di rivelazione del divino"
Il cantautore Luca Eri in uno scatto promozionale.
Il cantautore Luca Eri in uno scatto promozionale.

LUCA ERI: “La musica contiene in sé una qualche forma di rivelazione del divino”

Luca Eri benvenuto sulle nostre pagine! Noi di Music.it siamo soliti chiedere all’artista un aneddoto imbarazzante legato alla propria carriera musicale. Quale è il tuo?

Benvenuti anche voi, nel mio mondo. Per quanto riguarda l’aneddoto ce ne sono svariati, ma nessuno veramente degno di nota. Tra tutti ne scelgo uno, comunque. Una ventina di anni fa ero a Monterotondo a vedere gli Afterhours, il primo concerto degli Afterhours della mia vita, credo, era il tour di “Quello che non c’è”: vidi Manuel Agnelli girovagare per la piazza, mi avvicinai ed estrassi la mia demo dalla tasca, lo fermai e gli chiesi: “Scusa, tu sei… tu sei…”. Silenzio. Non avevo idea di come si chiamasse. Lui mi ripose: “Sì, sono Manuel Agnelli”; diede una fugace occhiata al CD che avevo tra le mani, poi proseguì: “E la tua demo puoi anche inviarla direttamente alla Mescal”. Quindi si voltò e se ne andò: da allora non lo vidi mai più, se non da sotto il palco.

Quali sono i tre album che hanno segnato e lasciato un’impronta indelebile nel tuo percorso musicale? E quale quello che ti sarebbe piaciuto scrivere?

Io sono un fan degli Afterhours, sin da quel giorno a Monterotondo: “Hai paura del buio”, “Quello che non c’è” e “Germi” sono i tre album che mi porto dentro, senza dubbio. Però, se dovessi citarne almeno altri due, cito una compilation punk che mi regalò un amico che non vedo né sento da quando ho sedici anni: Karim. Dentro quella compilation registrata su una vecchia musicassetta c’era un coacervo di band punk sconosciute, delle quali non ho mai conosciuto i nomi: ma è con quella compilation nel walkman che ho cominciato a scrivere canzoni. Mentre “Emozioni” di Lucio Battisti è sicuramente l’album che porto nel cuore, perché quando avevo cinque o sei anni mi sedevo in braccio a mio padre: lui eseguiva gli accordi con la chitarra, e io li ritmavo col plettro, e l’album che suonavamo era proprio “Emozioni”.

Com’è cambiato il tuo rapporto con la musica nel corso del tempo e in che modo, secondo te, può salvare le persone?

Sicuramente, con gli anni, ho capito che la musica contiene in sé una qualche forma di rivelazione del divino: studiare i Simbolisti francesi, soprattutto Stéphane Mallarmé, in questo senso mi ha illuminato. Il mio problema attuale è quello di comprendere quale razza di divinità dà vita al mondo, e se ci sia spazio per l’immortalità. Quando ascolto o scrivo, la domanda alla quale non sono riuscito mai a trovare una risposta è: qual è il volto di Dio? Ma anche Dante Alighieri, al termine della “Divina Commedia” – attenzione, spoiler – che poi è il suo viaggio verso Dio, non riesce a darci questa risposta: e allora mi sento meno solo.

Parlaci del tuo secondo singolo “Cenere”, dal sound filo indie rock, che segna quell’indecifrabile confine tra sogno e realtà e spiegaci cosa intendi quando parli di tradimento che non vede vinti e vincenti.

Non amo molto parlare dei miei brani, ho sempre la sensazione di non trovare le giuste parole per descriverli: quel che è certo è che – come ripeto sempre – la poesia è tale solo se contiene in sé un mistero. In realtà è una citazione di Giuseppe Ungaretti, ma se il compito dell’arte è quello di instaurare un contatto con la divinità, una divinità il cui volto ci resta sconosciuto, è normale che io sia così legato a questa definizione. E allora cosa vogliono dire le parole di “Cenere”? Cosa vuol dire che descrive un tradimento che non vede vinti e vincenti? Può voler dire molte cose, ma in ultima battuta non lo so bene nemmeno io.

Se dovessi attribuire un colore alla tua musica, quale sarebbe?

Il grigio. È il primo colore che mi viene in mente e che utilizzo per descrivere qualsiasi situazione io viva e alla quale sono particolarmente legato. Anche la scuola per me è grigia: e io insegno storia e filosofia. (ride)

C’è un artista con cui vorresti assolutamente collaborare, e perché?

La risposta credo sia scontata, oramai: Manuel Agnelli, che per me resta il genio indiscusso degli ultimi trent’anni di musica in Italia. Poi sarebbe anche un modo per riconciliarmi con quella figuraccia che feci con lui anni fa… Mentre all’estero, mi piacerebbe scrivere un pezzo insieme a Thom Yorke.

Stai già lavorando a nuovi brani da proporre in futuro? Vuoi darci qualche anticipazione?

A settembre uscirà il mio terzo singolo, “Åpøcalisse”: è un pezzo che parla di ciò che rimarrà del nostro amore ai tempi della fine del mondo, ed è un pezzo al quale tengo moltissimo. Poi mi chiuderò in studio per tirare fuori un album: spero riesca a uscire in primavera.

Luca Eri siamo arrivati ai saluti, ma il finale spetta a te. Saluta i nostri lettori con una citazione o, se preferisci, con una frase tratta dalle tue canzoni! Ti ringrazio per essere stato con noi e a presto!!!

Ciao e grazie.
Vi lascio con i versi di un poeta a me caro:

«Il nostro amore
È come se battesse

È uno scalpello di cenere
Su di uno specchio d’acqua

È lo specchio di una Venere
A rifrangere il volto
Della cenere matta».