MARTINA MAGGI: "Basta con questi loop elettronici, non se ne può più!"
La cantautrice Martina Maggi
La cantautrice Martina Maggi

MARTINA MAGGI: “Basta con questi loop elettronici, non se ne può più!”

Ciao Martina Maggi! A noi di Music.it piace curiosare tra le situazioni interessanti e particolari accadute agli artisti. Raccontami un aneddoto, capitato nella tua carriera musicale, decisamente imbarazzante!

Quando sei un po’ goffo come me, di scene imbarazzanti ne possono capitare quante ne vuoi. Una volta, quando facevo parte dell’Orchestra Popolare di Ambrogio Sparagna, riuscii a inciampare nel cavo del microfono. Era il primo concerto che facevamo e come ospite, quell’anno, c’era Francesco De Gregori. Durante la presentazione dei cantanti ci mancò davvero poco che io cadessi, mi salvai per un pelo. Hai presente quelle situazioni recuperate all’ultimo? Però ecco, davanti a 7/8 mila persone non è che nascondersi sia così semplice. Ti ho raccontato questa perché è epica, ma quando sei spontaneo non è così difficile collezionare momenti di questo tipo (ride).

Beh, per noi spettatori è sempre un piacere! Raccontami invece: quando è iniziato a crescere in te il desiderio di voler fare musica?

È una storia che può sembrare un po’ romanzata, ma è tutto vero. Mia madre lavorava come direttrice nella hall di un Hotel a Orvieto. Ora la situazione culturale è un po’ in crisi, ma fino a 15/20 anni era tutto diverso. Un festival molto importante era l’Umbria Jazz Winter, e durante quel periodo avevi la possibilità di stare a contatto con la musica e il jazz vero! Quell’anno venne la Coolbone Brass Band di New Orleans e mi ritrovai a fare amicizia con i membri di questa street band. Immagina una bambina persa in questa hall tra piume, lustrini, strumenti a respirare quello che respiravano quei ragazzi. Quella luce che avevano negli occhi.

Totalmente rapita dall’atmosfera.

Parlavano in inglese e, siccome avevo 5 anni, non possedevo una competenza della lingua tale da capirli, quindi era come se fosse tutto magico. Lo stesso inglese era un qualcosa di criptico, da decifrare. Da lì è scattata questo mio desiderio di far parte di quegli scambi di sintonia. Vedendo come riuscivano a coinvolgere le persone ho compreso quanto la musica fosse potente come mezzo di comunicazione. In casa non ho mai avuto musicisti o cantanti, ma c’è sempre stata tanta musica. La collezione di dischi di mio padre è stato sempre uno stimolo molto forte sin dall’inizio, e quell’episodio è stato come quando Cupido scocca una sua freccia.

Scoccò un vinile, più che una freccia.

Esatto (ride)! E da lì è iniziato il terrorismo psicologico a casa: «Voglio studiare musica. Devo studiare musica. Posso studiare musica?». I miei mi chiesero con cosa volessi iniziare, e io trovai l’amore per il sassofono. Andai a scuola di musica, ma mi dissero che a quell’età la mia struttura polmonare non era ancora pronta. Anni dopo scoprii che esistevano dei sax contralto molto più piccolini, ma all’epoca ripiegai sulla chitarra classica. Iniziai, per diversi anni, alla scuola di musica di Orvieto con un insegnante argentino preparatissimo. Poi cominciai al coro, e quando scoprii la voce come vero e proprio strumenti mi dedicai a quella.

E sicuramente, hai fatto fatto un ottimo lavoro. Tornando alla collezione di dischi di tuo padre, quali di questi ti ha accompagnato maggiormente durante la crescita?

Senza ombra di dubbio “Sultan Of Swing” dei Dire Straits, che era la punta di diamante di papà. Altri dischi consumati tra casa e macchina furono quelli di Tracy Chapman, che era il grande amore di mamma. Mi accompagna tutt’ora, perché è la più grande fonte di ispirazione. Io voglio rispondere alla domanda «Cosa è un’artista?», cioè farne mio il significato. Se ascolti oggi un brano di Tracy Chapman, per esempio “Fast Car”, noterai una forte attualità nei testi, anche se è stato scritto forse 20 anni fa. Utilizzare un linguaggio semplice, comune ed essenziale, ma arrivare a lasciare un segno. Io ho cominciato ad ascoltare quei brani che ero piccolissima, ma me li porto tutt’ora nei live. Quando li riproponi, non è mai qualcosa che stanca.

Quando la musica viene da dentro, non stanca mai.

È un classico che emoziona, comunica, e penso che la chiave del tutto sia la complicità. Importante menzionare anche i Queen che penso siano quasi un’enciclopedia del rock dei loro anni. Molti della mia età li rimpiangono, perché nati nell’epoca musicale sbagliata. Sicuramente tutti quelli che, come me, sono nati da genitori degli ani ’60 hanno avuto un’ottima base che non va dimenticata. Ho più uno scambio con il mondo anglosassone che non con quello italiano. Certamente ho sempre ascoltato cantautori italiani, ma son rimasta più affezionata a quelle influenze. Verso i 12 anni scoprii Etta James, e mi si aprì un nuovo mondo nel blues con un pizzico di malinconia, che ho lasciato trapelare in quello che scrivo da cantautrice (ride). Abbastanza diverso dai canoni proposti tutti i giorni.

Martina Maggi è una cantautrice, che ha in ballo un album di inediti. Corretto?

Sì, stiamo chiudendo il disco e uscirà a ottobre. Il primo inedito è uscito a febbraio, ho presentato “Straordinario Trip” durante la settimana del Festival di Sanremo. È stata una bella esperienza, e ho avuto il grande onore di collaborare con una parte importantissima della musica italiana: il sax di James Senese. Oltre alla sua partecipazione nel singolo già uscito, sarà presente anche in un altro brano intitolato “Ci siamo persi”, che fa parte della raccolta di inediti. Ci saranno altre sorprese, come un duetto importante, ma ora non posso svelarvi nulla. La cosa più bella è stata la possibilità di potermi esprimere e avere delle guide. All’interno della produzione sto facendo un grande lavoro di crescita personale insieme a Lighea, figura importante di Sanremo degli anni ’90 con “Io rivoglio la mia vita”.

Ha funzionato?

Essere guidata nella maniera giusta è stata la chiave di volta. Quando ti viene imposto qualcosa è tutto più difficile. Sicuramente il processo è più immediato, ed emergere è più facile, ma poi di concreto c’è ben poco. In questo caso è stato come creare su di me i giusti strumenti per capire come tirare fuori le cose giuste, come emozionare e come scrivere. Ho sempre scritto, ma imparare a scrivere da zero un brano non è così semplice. Puoi avere dei bei concetti interessanti, ma sbagliati nella forma. Ho ricevuto molti aiuti per aggiustare i metodi di espressione. Mi sono messa in gioco completamente, e ora stiamo finendo, tra virgolette, gli ultimi arrangiamenti in studio. Sono fiera di questo disco perché rispondeva alle mie esigenze, ossia di essere  un disco “suonato” e di riuscire far sentire gli strumenti. Basta con questi loop elettronici, non se ne può più (ride)!

Giusto, basta elettronica. Torniamo all’analogico!

Io penso ci debba essere sempre il giusto equilibrio tra le cose. Per quanto sia un disco pop – perché non posso dirti che sia un jazz sperimentale – di una giovane cantautrice, bisogna avere l’onestà intellettuale di dire quello che è. Però l’esigenza di far sentire della musica c’è, gli strumenti ci sono e dobbiamo sentirli. Dobbiamo far sentire questa musica!

Condivido in pieno. Tornando a “Straordinario Trip”, quando è stato scritto? In che periodo?

Non so dirti precisamente quando, le sessioni di scrittura sono un inferno (ride). Penso intorno a settembre/ottobre. I co-autori sono Nazzareno Nazziconi,  Tania Montelpare (Lighea) ed Emilio Gallo. È stato molto interessante ritrovarsi a scrivere a più mani. È come se si trovasse una connessione di energia. A volte dici una cosa, ed era appena stata scritta dalla persona accanto a te. Un sacco comune di idee, e quando avviene la connessione di energia positiva si va ad attingere insieme dalla stessa cosa. È un brano che parla della ricerca della felicità, quindi lascia una lettura molto soggettiva. Ognuno ricerca la felicità dove crede, e il sunto è che c’è chi ancora, come me, non si arrende perché ha trovato quello che vuole. Stiamo solo cercando dell’armonia, un po’ di poesia, per scappare dalla frenesia di tutti i giorni, dalla quotidianità, che è quello che spesso ci uccide.

Molto spesso, è proprio lei. Vorrei farti un paio di domande su All Together Now. Martina Maggi, come hai scelto i brani da eseguire?

La scelta di portare “If I Ain’t Got You” – erroneamente chiamata ovunque “Some people want it all” –  di Alicia Keys, in italiano “Se io non ti avessi”, non so se posso dirtela o meno. I brani non vengono scelti dai concorrenti. Ho scelto questo primo brano disponibile perché mi emoziona particolarmente.

Quindi non siete voi a portare dei brani “da casa”, diciamo così.

No, non hai libertà di farlo. Altrimenti per la sfida finale non avrei mai scelto “Because the Night” (Patty Smith, ndr.).

Ho capito, quindi ti senti penalizzata perché non potevi scegliere liberamente un brano? O magari non sei stata d’accordo con il verdetto de giudici?

Non è una questione di essere in accordo o meno, perché ci sono delle dinamiche a cui purtroppo non puoi andare contro. Se sei un vero artista devi essere all’altezza di qualsiasi situazione, quindi non posso scaricare le mie responsabilità su altri. Poi certo, è sempre avere la libertà di fare qualcosa fatto apposta per te. Con “If I Ain’t Got You” parliamo di un qualcosa molto più attinente a quello che è il mio mondo e la mia personalità. Anche “Shallow” (Lady Gaga, ndr.) non è il mio genere, né il mio mondo.

Immagino sia tutt’altro che facile.

Abbastanza. E poi siamo arrivati tutti molto stanchi molto stanchi per tutte le prove generali. Tutti i ragazzi sono stato molto più presenti alle registrazioni, finisci alle 2/3 di notte, aria condizionata tutto il giorno. Magari ti ritrovi a scaldare la voce alle 9 di mattina, e ti esibisci alle 7 di sera. Mettici l’emozione, la prima volta in TV. Sono contentissima di aver fatto questa esperienza, specialmente a livello umano, come accade spesso nei confronti in questo mondo, quando incontri dei ragazzi che, come te, lavorano per questo e hanno questo sogno. Ci sono molti scambi di entusiasmo come: «Ah, ma anche tu scrivi? Questo l’ho fatto io!», oppure: «Ma no, secondo me questo sarebbe perfetto per te!».

Tutto questo, nonostante foste avversarsi.

È stato bellissimo! E sicuramente il 100 è stata una piccola grande emozione, perché mi aspettavo di tutto, tranne di farli alzare tutti insieme. Ero nelle condizioni di poter stare tranquilla e a mio agio. Ero Martina, ero me stessa, e cantavo uno dei miei brani preferiti. È tutto un fattore di energia, perché quando sei lì non puoi pensare: «Ok la tecnica, il palato molle, e poi mi metto lì, e poi…». Sei lì e pensi a quel che stai dicendo. E soprattutto penso che “If I Ain’t Got You” sia una delle canzoni d’amore più belle, proprio perché ne spiega il vero senso. Possiamo cercare la fonte della giovinezza, milioni di rose, quel che vuoi. Ma quando trovi l’altra metà, se non la hai con te, è come se non avessi niente.

Se la senti tua, ti viene certamente meglio esprimerla. Ti ritieni comunque soddisfatta di te stessa, nonostante le problematiche incontrate?

Sì! Potevo fare certamente di meglio, ma io non sono mai contenta di me stessa (ride). Lo metto a prescindere, ma rispetto a ogni cosa. Anche su “If I Ain’t Got You”, quando la risento, ci sono cose che non mi piacciono. Bisogna essere soddisfatti quando ce la si mette tutta! Ed è quel che sto facendo, senza mai arrendermi. È stata davvero una bella esperienza e un ottimo modo di aprire l’anno.

Era la prima volta in televisione?

Sì, la primissima volta. Quindi metti che era la prima volta la prima volta in televisione, ho 23 anni, bam! Il vero pressure test era stare lì di fronte a loro, e non capire cosa dicessero. Li vedevi indicare, poi commentare e pensi: «Oh mamma!», e poi «Tum tum tum tum tum», ovvero il cuore che speravo non uscisse fuori dal petto e morire davanti a loro. E ti presenti di nuovo, e ti riguardano, ricommentato, indicano ancora, e non hai davvero la minima idea di quel che stavano dicendo, perché non sentivi nulla. Allora parte la base e vai! E ti salvi dall’infarto così.

Fortunatamente, altrimenti camomilla per endovena. E a proposito di game show in questo paese, o in generale, pensi abbiano più futuro talent show come X Factor e via discorrendo, o i game show alla All Together Now? Cosa pensi sia meglio?

Sono percorsi sicuramente differenti. Un game show forse non ti dà la possibilità di esprimere al massimo te stesso in maniera artistica, ma forse per la durata di quello che è il programma. Un X Factor, al suo interno, ti permette di avere una evoluzione, e si conclude con un percorso che diventa discografico.

E non è lo stesso per il game show.

A All Together Now è stato chiaro fin da subito che non ci sarebbero stati risvolti discografici, se non il lavoro che si crea nella rete di contatti. Qui hai una vetrina, e se non vinci hai visibilità e la possibilità di far vedere ciò che vali su Canale 5, in prima serata. È stata una opportunità incredibile, perché migliaia di ragazzi avevano fatto i provini, come succede anche a X Factor. File e file interminabili di persone che inseguono questo sogno. Sono però due mondi differenti, non si possono neanche mettere a paragone. Ora perché era un game show improntato sulla musica, o sull’esibizione canora, ma in realtà potevi anche tirare a canestro. Non c’è alcuna connessione artista come percorso ed evoluzione.

Lo rifaresti?

Sì, assolutamente.

Nonostante tu non abbia vinto, hai avuto qualche beneficio?

Sì. A livello lavorativo ci sono state diverse cose. Vuoi o non vuoi,finché non sei stato in prima serata su Canale 5 non puoi comprendere la visibilità che ti offre. Vai al mare: «Ma tu sei Martina di All Together Now!» (ride). Capito? Diventi blu, verde, viola, rosso, perché non te lo aspetti. La gente inizia a conoscerti. È stato molto importante per i canali social, per far conoscere la mia di musica! La cosa più bella è stata ricevere diversi messaggi con complimenti e apprezzamenti. Sicuramente il beneficio più grande è stato portare chi mi ha ascoltato con una cover a entrare nel mio mondo, e cercare di farle rimanere collegate attendendo che esca tutto il disco. È stata bella tutta la favola. Come scegliere con le costumiste il vestito! Sogni questo mondo da quando sei piccolina, poi ti ritrovi lì con chi ti veste e chi ti consiglia.

Come si è comportata con voi la produzione?

La produzione è stata fantastica. Ci seguivano spesso, si preoccupavano, ci informavano quando il pranzo era in camerino, come fossimo stati dei cuccioli da accudire. A livello umano sono stata bene con tutti i ragazzi, ma anche con tutte le persone che hanno lavorato al programma come i tecnici. Lo stesso con Roberto Cenci, è stato un onore lavorare con un regista preparato in musica! Perché Roberto è una persona preparatissima, che sente anche dal monitor se è stata registrata male una chitarra. Sa consigliarti a livello vocale, come approcciarsi al brano e ci ha tenuto al mille per mille a far uscire meglio di noi. Lo rifarei perché è stata una esperienza in cui i ragazzi non vengono strumentalizzati, bensì aiutati nel loro percorso.

Questo a conferma che dentro, c’è molto altro di una semplice esibizione. Mi hai parlato dell’uscita dell’album in autunno, ma abbiamo una data?

Non posso darti date precise perché stiamo sistemando le ultime cose. Verso ottobre o novembre dovremmo esserci.

Perfetto, perché il 5 novembre è il mio compleanno. Sappi che lo voglio!

Perfetto (ride)!. Ora me lo segno, dammi l’indirizzo e verrà spedito! Se non manterrò la promessa mi dirai: «A bella, l’avevi promesso!», con tanto di dedica. Giuro!

Sei fantastica! E mi dicevi che ci sarà un duetto che non puoi svelare, ma già in passato hai collaborato con tanti artisti come Francesco De Gregori, Hevia, Andrea Bocelli. C’è un artista con il quale vorresti assolutamente duettare?

Il mio sogno si chiama Fiorella Mannoia. E vale lo stesso per Elisa. Sono artiste fantastiche del panorama italiano a cui mi ispiro di più. Fiorella Mannoia in assoluto per l’eleganza e la comunicazione: con una sola parola, ti arriva. Io sono per la semplicità. Io sono per tutto quello che è semplice, immediato, vero e autentico. Pensa alla sua ultima esibizione a Sanremo con “Che sia benedetta” e la padronanza avuta sul palco. Ha mosso leggermente una mano, ma ha detto tutto. È un mondo con lei in cui anche l’italiano racchiudesse 10 lingue in più, altri significati. È tutto più forte, è vera! Elisa anche è un mio sogno enorme. per me sarebbe come volare sulla luna.

E te lo auguriamo. Stai lavorando mondo, e sicuramente ben presto avrai tante altre possibilità di approcciarti a queste leggende.

Incrociamo le dita! Come dicono a Napoli, io ho a capa tost! Non mi arrendo mai e cerco sempre di andare avanti. È qualcosa che mi fa stare bene. Quando mi chiedono perché canto, rispondo che sennò vivo male. Devo farlo per esigenza di benessere, equilibrio e stabilità. È successo in passato, anni e anni fa, che per un periodo avevo avuto dei piccoli ripensamenti, dopo l’adolescenza. Era come se il mondo tutto d’un tratto fosse diventato in bianco e nero, facendomi chiedere «Ma cosa sto facendo?».

Per fortuna ci hai ripensato.

Ho capito che devo essere me stessa, mi accorgo che Martina è Martina! Io mi sveglio prestissimo, non sono una dormigliona. Verso le sei e mezza mi faccio le mie passeggiate e sono bella attiva. Se canto e fischietto allora è tutto in regola. Ti accorgi che sono in casa perché canto. Per chi vive con me, e per questo vivo da sola l’80% del mio tempo, avere una persona che canta tra le 22/23 ore al giorno, non è una cosa facile. È il motivo perché son quasi sempre single perché all’inizio «Che bello, che bello!», poi: «Basta, hai rotto le pa***e. Aria! Canti troppo!». Vengo sempre defenestrata con i miei pianoforti, chitarre, ma non mi interessa!

Questo perché nessuno può rompere il ritmo dell’Imperatore!

Noooo (ride)! Hai fatto al citazione più bella che per una malata della Disney potessi fare. Hai vinto per tutta la vita. Grande (ride)!

È andata, grazie! E per tutti i brani che esistono al mondo, invece, quello che avresti voluto scrivere?

O “No Woman No Cry”, o “Redemption Song” di Bob Marley. Ma direi più la seconda. Essendo una domanda un po’ a bruciapelo, ti dico che ci sono tante canzoni che avrei voluto scrivere, come “Fast Car” di Tracy Chapman. però confermo che un inno come “Redemption Song” mi sarebbe veramente piaciuto scriverlo.

E ne scriverai uno ancora più bello!

Guarda, se riesco a scrivere un brano migliore di “Redemption Song”,ho vinto.

Tutto. Bene, Martina Maggi, ti ho intrattenuta anche troppo. Ti ringrazio e, come per tutti gli artisti, intervistati da Music.it, le ultime righe sono per te. Chiudi come preferisci!

Chiudo ringraziando tutte le persone che mi stanno aiutando per realizzare il mio sogno, in primis la mia famiglia. I miei genitori fanno sacrifici da quando sono piccola per permettermi tutto ciò. Poi i miei produttori: Nazzareno Nazziconi, Tania Montelpare, Giuseppe Storiano, e chiunque fa ogni giorno qualcosa per aiutarmi in questo sogno. Un abbraccio!