CHARLIE FUZZ: "Viviamo anche un’epoca malandrina, basata sugli ascolti, sui like, sui numeri"
L'artista Charlie Fuzz in uno scatto promozionale.
L'artista Charlie Fuzz in uno scatto promozionale.

CHARLIE FUZZ: “Viviamo anche un’epoca malandrina, basata sugli ascolti, sui like, sui numeri”

Charlie Fuzz, benvenuto su Music.it! Rompiamo subito il ghiaccio: racconta ai lettori un singolare episodio, accaduto durante la tua carriera musicale, che ricordi con il sorriso o che non scorderai mai per l’imbarazzo.

Premetto che ne ho viste parecchie, ne racconto uno unico successo pochi anni fa, molto imbarazzante più per il gestore del locale che per me. Si tratta di un locale sperduto nelle lande ciociare, ero stato chiamato per un live acustico col mio chitarrista di all’ora per un rimborso di 50 miseri euro. Avevamo accettato non so per quale motivo, il locale aveva anche le sembianze di un live club, quindi volevamo “testarlo”. Montiamo praticamente tutto (compreso l’impianto), ceniamo e alle 21.30 il tizio ci fa: “Ragazzi qui se non è arrivata gente finora significa che non verrà nessuno ormai perché siamo troppo sperduti e di solito da noi funziona così”. Smontiamo quindi tutto e ci rimanda a casa con 10 euro totali di rimborso. Arrivo a casa e molte persone che erano arrivate lì dopo le 22 mi scrivono “Ehi, ma dove sei? Siamo venuti a sentirvi!”. Indimenticabile.

Quando è iniziato il tuo viaggio nel mondo della musica? Raccontaci di te e di chi ha suggestionato la tua arte.

Il mio viaggio è iniziato più o meno quando ho compiuto 10 anni, quando ho visto la chitarra di mio fratello poggiata in camera. Mi sono timidamente incuriosito e quando non c’era nessuno attorno ho iniziato a strimpellarla inventando direttamente le mie prime canzoni (ovviamente inascoltabili), non ho iniziato da “Smoke on the Water” o “La Canzone del Sole”.

Quali sono le tre cose che non possono mai mancare nella tua vita? E nella tua musica?

Tolgo le cose essenziali (famiglia, fidanzata, amici ecc.). Nella vita non possono mancare: la musica, i libri e le serie tv. Nella musica invece: i dischi, le chitarre, le mie canzoni (che banale che sono).

Parlaci del tuo nuovo singolo “Autoradio”, brano contraddistinto da una lirica pungente ed accattivante. Cosa ti ha portato a sperimentare nuove sonorità ed avvicinarti ad un sound di fine anni ’70? Quanto è importante, secondo il tuo punto di vista, spolverare musicalità del passato?

“Autoradio” è nata a seguito di un’esperienza negativa avuta in uno studio di registrazione dove stavo incidendo la canzone per una colonna sonora di un film. L’esperienza non è andata a buon fine e mi sono sentito incompreso e poco apprezzato da chi era in studio con me, ho pensato quindi che da questo episodio sarebbe potuto nascere un pezzo nervoso e movimentato. Per quanto riguarda la musica, durante il periodo in cui l’ho scritta ascoltavo parecchio Lucio Battisti degli anni 70, Enzo Carella, “Spazio” di Leo Pari e i suoni sintetici degli anni ‘80.

Al giorno d’oggi, quanto è complesso farsi strada nel mercato discografico italiano?

A suonare siamo tanti, tantissimi. È semplicissimo contattare un’etichetta o un artista che ci piace ma siamo talmente tanti che anche le etichette minori non ti danno ascolto. Viviamo anche un’epoca malandrina, basata sugli ascolti, sui like, sui numeri. La fruibilità di internet ha facilitato le cose ma allo stesso tempo le ha appiattite. Non è colpa di nessuno purtroppo, è solo l’evoluzione dei tempi e tutti noi siamo portati ad adattarci e a faticare per raggiungere i grandi numeri. Non è l’evoluzione che avrei sperato ma una cosa sicuramente è rimasta invariata nel tempo, l’importanza dei live. Di diverso c’è il fatto che i live non si stiano proprio svolgendo (per forza di cose), però quando le cose torneranno normali, saranno l’unica vera opzione per farsi sentire, anche dai discografici.

Come sarà Charlie Fuzz tra venti anni? Qual è il sogno che più ti piacerebbe realizzare?

Mi auguro intanto di arrivarci e con gran parte del cuoio capelluto ancora intatto, anche se dubito purtroppo. Parlando di cose serie, mi piacerebbe che la musica fosse sempre parte integrante della mia vita. Magari gestendo un cafè dove si vendono dischi e si fanno concerti oppure avere un’etichetta e produrre le nuove leve.

Ora giochiamo: attribuisci un colore ed un sapore alla tua musica e spiegaci il perché!

Facile, la mia musica è verde. Anche se il mio colore preferito da un po’ di tempo è il celeste.
Tutte le canzoni però sono nate nella mia stanza che è verde, anche due delle mie chitarre lo sono, perciò se ripenso a quando ho scritto quelle canzoni mi appare subito quel colore.

Progetti per il futuro? Cosa bolle in pentola e cosa devono aspettarsi i tuoi ascoltatori?

Intanto vorrei riprendere a suonare, anche al di fuori del Lazio come i vecchi tempi :), poi vorrei far parte di un’etichetta un pochino più grande di quella gestita da me (Povery Dischy); anche per potermi confrontare con punti di vista diversi e con più esperienza nel campo rispetto alla mia.

Charlie Fuzz ti ringrazio per essere stato con noi e per il tempo che ci hai dedicato. La nostra intervista è giunta al termine, ma il finale spetta a te: saluta i lettori come meglio credi. Ciao e a presto!

Grazie a voi e a tutti i lettori di Music.it e ricordatevi che chi non solletica con noi…non si diverte!