Ciao Davide! È un piacere averti fra le nostre pagine. Sciogliamo subito il ghiaccio. Ci racconti un aneddoto legato alla tua musica che non conosce nessuno?
Non racconto mai come ho cominciato a cantare, come ho iniziato a sentire l’attrazione per la voce. Tanti amano vantare un’infanzia promettente: “Canto sin da quando ero in fasce”, “Sono nato cantando”. Ebbene, io no! Ricordo, però, quando ho deciso che il canto sarebbe stata la mia forma di espressione. Sentivo mio padre fischiettare spesso, ogni tanto spezzava il fischio sussurrando con una leggerezza invidiabile “Dice che era un bell’uomo e veniva e veniva dal mare”. Provavo invidia per quella facilità, per quella naturalezza disarmante. Da allora ho iniziato a indagare i suoni per capire cosa nascondessero. La mia musica inizia lì. Non ero uno di quei bambini prodigio che nascono col microfono in mano, ero solo curioso.
Alla faccia del titolo, “Sono una pippa nel pop” è una canzone maledettamente catchy, di quelle che entrano in testa al primo ascolto e con la giusta esposizione possono diventare tormentoni. Eppure il testo è leggero solo in apparenza ed esprime il disagio degli artisti che vogliono emergere. È davvero così difficile proporre le proprie idee, oggi?
È difficile ottenere l’ascolto, è difficile chiedere alla gente di fermarsi un attimo. Siamo in un’epoca in cui tutto corre a una velocità impressionante; come dico nella mia canzone “anche per fare l’amore” bisogna beccare il tempo giusto, “ché se perdo tempo è un attimo”. Il web è una vetrina importantissima, offre una chance di visibilità che in passato non esisteva. Ma è pur vero che la comunicazione corre, non indugia, non ha tempo per l’approfondimento, per l’analisi: chiede tutto e subito. L’artista deve scontrarsi non solo con il circuito talora chiuso dei canali ufficiali (televisione, radio, ecc…), ma persino con un web che lo colloca in una piazza troppo vasta e gremita, all’interno della quale deve sgomitare e fare presto.
L’era del minimalismo.
Come si può pensare che questo non condizioni tante espressioni? Io stesso ho scritto questa canzone quando ho avvertito il rischio di essere contaminato da questi meccanismi, che giocano il valore sul piano del tempo, dei like, delle condivisioni. Non mi sento di demonizzare niente, però; l’artista deve conoscere i suoi tempi, viverli, porsi contro, ma non deve mai perdere di vista il movente. Al di là delle mode, sopravvive quello che sa essere universale. Per questo mi dico sempre di avere il coraggio di esporre qualunque cosa io senta di voler dire, senza mai “pre-giudicarla” pensando a un ipotetico scopo commerciale.
Francesco Gabbani, e prima di lui Renzo Rubino e Raphael Gualazzi hanno riaperto la strada a questo genere, quello di un pop scanzonato e canzonatore, di cui si è sentita la mancanza negli ultimi anni. Qual è il processo creativo dietro i tuoi brani?
In realtà, questa tendenza a esprimere con freschezza una leggera pensosità ritengo appartenga da tempo al cantautorato italiano. Penso a Rino Gaetano o, per arrivare a tempi più recenti, a cantautori come Samuele Bersani, Niccolò Fabi, Max Gazzè.
Il processo da cui nascono i miei brani si articola in due fasi: un’occasione scatenante, che è solitamente un incidente, qualcosa che va storto nella mia quotidianità, una frase straniante o un’azione fuori posto; e poi la lavorazione, che comporta sempre dei rimaneggiamenti per garantire una migliore fusione tra testo e musica e per uscire, dove è possibile, dall’autoreferenzialità. La canzone non è mai infatti di chi la scrive, deve essere capace di appartenere a tanti. Quindi, lavoro per togliere ciò che è “troppo esageratemente solo mio”, lasciando qualche strada aperta, qualche vuoto da riempire. Mi piace giocare così con le mie canzoni e preparare il terreno all’intervento di chi le ascolterà.
Non sarebbe più facile scrivere la solita canzone d’amore?
Ho scritto anche canzoni d’amore e non mi sono preoccupato che potessero apparire incoerenti con brani come “Mi fanno male i piedi” o “Sono una pippa nel pop”. Il singolo precedente, ad esempio, “Parlami ancora” è una ballad romantica: racconta di quegli amori che sfuggono ai numeri, quelli che più facilmente vengono gettati nel novero di quelli sbagliati, eppure per questo così perfetti. È una canzone d’amore, ma spero non la solita.
Chi ha ispirato il tuo percorso? Se potessi fare una collaborazione con un artista famoso, chi sceglieresti? Valgono anche nomi internazionali e del passato.
Lucio Dalla. Quest’artista ha condizionato il mio avvicinamento alla musica. Non credo che siano esistiti cantautori altrettanto abili nell’alternare il gioco, il divertissement, alla poesia, all’impegno, senza perdere mai la cifra, l’identità comune. Peccato che non sarà più possibile duettare con lui.
Cosa c’è nel tuo futuro? Dopo tanti singoli, è arrivata l’ora di fare un album?
Ci sono ancora tante canzoni. Ci sono ancora tante cose che voglio dire. Credo che “Sono una pippa nel pop” apra le porte a un progetto organico, a un album. Ho toccato tante esperienze diverse e ho saggiato anche la mia capacità di espormi in forme diverse. Sento che questo è il momento di raccogliere tutti i brani di questi anni in un concetto unico. Quindi preparatevi ad acquistarlo.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Sì: non credete troppo a quello che ho detto. Anche io tante volte non mi seguo!