Un caloroso benvenuto a Gli Scortesi. Vorrei seguire quello che ormai è un marchio di fabbrica del nostro sito, iniziando con il chiedervi di raccontarci un vostro ricordo legato alla musica.
Il primo ricordo legato alla musica che mi viene in mente, è quando alla vigilia della terza prova della maturità avevo un concerto con il mio vecchio gruppo con open bar a bordo piscina. Finito il concerto tornai a casa, vomitai sul marciapiede e mi misi a studiare.
Siete insieme da poco più di un anno, avete rilasciato due singoli e stiamo aspettando il vostro album, che uscirà questo autunno. Come nasce la vostra collaborazione?
La nostra collaborazione nasce grazie all’incontro tra me e Francesco Oliva (basso), che all’epoca suonava in un altro gruppo mentre io ero svincolato. Abbiamo iniziato a suonare le canzoni che avevo accumulato negli anni e ci siamo subito trovati.
Più tardi sono entrati Francesco Lombardi (amico di infanzia di Oliva) alla chitarra e Tommaso Orioli (trovato su un sito di incontri) alla batteria.
Ascoltando i vostri brani, sono rimasto colpito dall’uso che fate dell’armonica, in un genere nel quale non si sente così spesso. Da chi prendete spunto? Quali sono i vostri artisti di riferimento?
La canzone a cui ti riferisci è “Gabbiani”, che nasceva con in mente le sonorità dell’album “Howl” dei Black Rebel Motorcycle Club. Poi col tempo la canzone si è trasformata ed è diventata un po’ il nostro manifesto. Peccato che nell’album che abbiamo registrato è stata risuonata e non c’è l’armonica. Per i suoni di questo disco il riferimento sono stati i Weezer.
Nella scena italiana c’è qualcuno di particolare a cui guardate come un esempio da seguire?
Come esempio da seguire ti diremmo gli Zen Circus. Per il semplice fatto che, pur non essendo uno dei nostri gruppi preferiti, pensano a suonare e basta, senza troppe strutture intorno. La scena contemporanea nazionale ci lascia piuttosto indifferenti, non proviamo particolare odio né ammirazione per nessuno.
Ora aspettiamo l’uscita del vostro album, interamente autoprodotto. Come vi ha cambiato quest’esperienza di registrazione?
Ogni volta che arriva il momento di registrare le chitarre, è il giorno più bello della mia vita. Per fare questo disco ci sono voluti parecchi giorni di registrazione quindi per noi è stata come una vacanza lavoro. Il clima in studio è stato perfetto, siamo stati guidati e aiutati negli arrangiamenti e in tutto il percorso da Valerio Cascone del The Lab, che per noi è come se fosse il quinto Scortese, ma non sappiamo se lui è d’accordo.
Parlateci un del lavoro che sta per uscire. Potete anticipare qualcosa ai nostri lettori? Avrà la stessa impronta dei singoli che abbiamo sentito o ci saranno innovazioni?
Possiamo sicuramente anticipare che sarà composto da 10 tracce. Anzi… diciamo 9. L’impronta dell’album la possiamo riassumere con una parola: chitarre. In questo momento storico dove la musica con le chitarre è morta abbiamo deciso di fare l’opposto di quello che tutti ci hanno proposto o consigliato. Le innovazioni rispetto ai singoli già pubblicati sono che anche le vecchie canzoni sono state registrate con maggiore cura negli arrangiamenti e nuove strumentazioni, sia nostre che dello studio, quindi di maggiore qualità. Non ci siamo mai posti l’obiettivo di sperimentare o di inventarci qualcosa di nuovo, suoniamo quello che ci piace suonare e, soprattutto ascoltare, consapevoli del fatto che le mode suggeriscono altro.
Vi ringrazio per aver collaborato con noi e vi lascio un po’ di meritato spazio dopo questa noiosissima intervista, fatene ciò che volete.
Queste domande aperte ci mettono sempre in difficoltà. Non perché non abbiamo nulla da dire, ma perché le parole giuste non escono mai. È difficile far passare il nostro concetto di musica, non perché ci sia qualcosa di speciale, quanto perché c’è qualcosa di sentito da ognuno di noi, ed è una cosa molto privata. Noi facciamo la musica che ci piace e non facciamo musica per piacere a qualcuno. Grazie davvero Emanuele per lo spazio dedicatoci.