TE QUIERO EURIDICE: "Due è una carta d’identità di quegli anni che la gente chiama i migliori"
Il duo di Te Quiero Euridice
Il duo di Te Quiero Euridice

TE QUIERO EURIDICE: “Due è una carta d’identità di quegli anni che la gente chiama i migliori”

Ciao ragazzi e benvenuti su Music.it. Non inizio mai le interviste con questa domanda, ma sono incuriosito. Raccontatemi l’origine del nome Te quiero euridice.

Il nome nasce ad una festa, un filo alcolica, di una nostra amica. Te quiero Euridice si rifà ovviamente al mito greco: la nostra band si sente un po’ Orfeo che canta per la sua amata nella speranza di rivederla. Abbiamo scritto un brano omonimo, che chiude il nostro primo EP “Due”: è il nostro modo di attualizzare la splendida storia originale.

Come vi siete conosciuti e specialmente quando avete deciso di portare avanti il progetto Te quiero euridice?

Ci siamo conosciuti negli ultimi anni di liceo, abbiamo fatto entrambi lo scientifico. Il “Gioia” di Piacenza è stato uno dei primi luoghi dove ci siamo mossi musicalmente, tra una verifica e l’altra: i nostri amici ci seguono affettuosamente da allora. Sin dagli inizi crediamo molto nel progetto, e finché continueremo a divertirci lo porteremo orgogliosamente avanti.

Quali sono gli artisti che vi accomunano e che utilizzate come metro di misura e quali invece quelli che non sopportate l’uno dell’altra?

La passione per la scena indipendente italiana di questi ultimi tempi ci accomuna molto, assieme ad alcune band e cantautori della scena internazionale (riconducibili al mondo dell’alternative rock e dell’indie-pop). La differenza principale tra noi due è che Elena ama molto il folk, mentre io (Pietro) ammiro gli artisti electro-pop: non potete capire quante battaglie per aggiungere un synth (o viceversa un banjo) a una traccia.

Parliamo del vostro primo EP “Due”. 6 canzoni in perfetto stile indie, dalle quali scaturisce poi il singolo “I miei polsi”. Raccontatemelo.

“Due” è una carta d’identità di quegli anni che la gente chiama “i migliori”. È amore, sofferenza, abbandono, voglia di andarsene, amici, serate, provincia e tutte quelle cose che un ragazzo o una ragazza di una piccola città può pensare o dire. È un disco che nasce dal guardarsi dentro e poi dal guardarsi attorno cercando di cogliere gli aspetti fondamentali della nostra età. È un disco non del tutto maturo ma forse proprio per questo più sincero o vero, e in ogni caso senza presunzioni. Ci siamo guardati allo specchio e abbiamo iniziato a scrivere, e con l’aiuto di due nostri carissimi compagni di viaggio, Francesco Brianzi (fratello di Elena) e Andrea Speroni lo abbiamo arrangiato, registrato, prodotto, distribuito in totale autonomia e indipendenza.

Come mai la scelta di “I miei polsi” come singolo?

I miei polsi è una canzone molto importante per noi. È uno dei nostri primi inediti, lo suoniamo da quando abbiamo incominciato ad esibirci in giro, ed una delle preferite dalla nostra piccola fan-base. Era giusto che fosse la canzone più rappresentativa di questo inizio di avventura. Ne abbiamo avuto conferma quando abbiamo scelto alcuni dei nostri amici come attori per il videoclip ufficiale girato da Matteo Badini, che immediatamente si sono resi disponibili con grande passione ed entusiasmo.

Domanda cattiva: qual’è la canzone che non vorreste mai aver scritto?

“Oro”, di Giuseppe Mango e Giulio Rapetti Mogol.

Avete già altri progetti per il futuro? Magari un album?

Stiamo scrivendo. Per il momento abbiamo intenzione di fare uscire un paio di singoli, e poi nel 2020 arriverà un album (si spera!). Si sa, il secondo album è difficile per tutti. Nel frattempo si suona, si partecipa a qualche contest, si partecipa a qualche altra festa alcolica. Chissà che di fronte a qualche drink non parta un progetto parallelo

Vi ringrazio per averci prestato un po’ del vostro tempo, sentitevi liberi di salutare i lettori come meglio credete.  A presto!

Grazie Emanuele Proietti, grazie Music.it, e grazie ai vostri lettori, ai quali chiediamo di ascoltarci dedicandogli il nostro motto: os queremos!