WE KIDS QUINTET: "Incontrarci in questo progetto è stato semplice e immediato"
L'ensemble jazz We Kids Quintet ideata dal brushman Stefano Bagnoli
L'ensemble jazz We Kids Quintet ideata dal brushman Stefano Bagnoli

WE KIDS QUINTET: “Incontrarci in questo progetto è stato semplice e immediato”

Stefano Bagnoli, benvenuto su Music.it! È un vero onore ospitarti sulle nostre pagine per presentarci “We Kids Quintet”. Prima di entrare nel mondo del jazz, rompiamo il ghiaccio con una nostra usuale richiesta: raccontaci un evento, un aneddoto curioso o imbarazzante legato alla tua carriera musicale!

1984, Sala Verdi del Conservatorio di Milano sold out, concerto con il gruppo di percussioni diretto dal nostro Maestro Franco Campioni. Suoniamo un brano contemporaneo nel quale ognuno di noi ha una parte solistica scritta. Quando è il mio turno, alla prima nota, la pelle del rullante si sfonda e la bacchetta entra dentro al tamburo. Volevo suicidarmi!

We Kids Quintet, oltre ad essere il nome del quintetto, è anche il titolo del primo album che nasce da questa collaborazione. Tu, Giuseppe Vitale e Stefano Zambon, che avevate già collaborato insieme per We Kids Trio, siete qui affiancati anche dai talentuosi e giovanissimi Giovanni e Matteo Cutello. Perché e con quale scopo è nato il progetto di We Kids?

Di fatto l’idea è del nostro produttore Mario Caccia, patron della Abeat Records, che conoscendo l’attività del mio trio We Kids che ho formato tanti anni fa con l’intento di presentare al pubblico giovani talenti, mi propose di incrementare l’organico con i fratelli Cutello che peraltro conosco da quando avevano dieci anni.

Passando all’album, “We Kids Quintet” è ricco di idee e ben equilibrato, e mette in luce la
tecnica strumentale impeccabile di tutti i componenti. Qual è stata la ricerca che ha accompagnato questo disco? C’era una direzione ben precisa fin da subito o si è trattato di una progressiva scoperta?

Siamo tutti e cinque molto affiatati nonostante le differenze anagrafiche perciò incontrarci in questo progetto è stato semplice e immediato. L’idea musicale comune ha forgiato la musica del disco che tutti e cinque abbiamo composto e arrangiato. Suonare jazz significa principalmente condividere un linguaggio che ognuno di noi assimila e sperimenta grazie alle esperienze personali, ciò rende la musica priva di ostacoli intellettuali o strutturali.

Tre aggettivi con cui descriveresti questo album!

Evocativo, emotivo, divertente.

Come avete vissuto questa collaborazione?

Come un incontro tra vecchi amici anche se di vecchio ci sono solo io!

Pensi che da questo quintetto possano nascere altre sperimentazioni?

Probabile e sperabile poiché la crescita artistica di ognuno di noi può portare ingredienti nuovi per un prossimo incontro.

Quali ingredienti deve avere e cosa è che non deve assolutamente mancare, secondo te, in un buon album jazz?

La credibilità. Se si costruisce a tavolino un gruppo o un disco per assecondare il produttore o il critico di turno non si suona, ma si pensa ai possibili risultati imprenditoriali del progetto. Vero è che tutti noi musicisti siamo potenzialmente imprenditori di noi stessi poiché essere musicisti oggi è tutt’altro che adagiarsi sul proprio talento. Tuttavia la musica vince sempre e se non la suoni con passione e convinzione, le note non esprimono nulla.

Una domanda d’obbligo riguarda la scena jazz contemporanea: quali ritieni che siano i pro e i contro della produzione e anche della diffusione della musica jazz italiana attuale?

Suono dal 1978 e ne ho viste e vissute di tutti i colori. Sono serenamente disilluso riguardo il mercato della musica tuttavia non sono rassegnato tant’è vero che dopo 42 anni di attività mi sento ancora un ragazzino che chissà quante cose dovrà scoprire e fare! Il business del jazz è attivissimo e ha una sua fetta di mercato ben definita che tuttavia non potrà mai competere con la massificazione della musica usa e getta. Una forma d’arte come il jazz sopravvive dignitosamente da sempre senza mai eccessi e mode particolari. La star che vince i talent scout dopo un anno non se la ricorda nessuno, i jazzisti sono eterni! Credo che un produttore, un discografico, un promotore di jazz siano guidati principalmente dalla passione e dall’intraprendenza, viceversa farebbero i politici con guadagni di ben altra entità e un intelletto inversamente proporzionale!

Grazie Stefano Bagnoli! L’ultimo spazio è a tua disposizione: un saluto ai nostri lettori!

In un mondo cinico e saturo di tutto, abbiate fede che le cose belle ci saranno sempre e sopravvivono a qualsiasi avversità, virus o politico di turno, che poi sono la stessa cosa!