Diamo il benvenuto su Music.it a William Wilson! Rompiamo un po’ il ghiaccio, raccontaci un tuo aneddoto divertente o imbarazzante sulla musica.
Non mi viene in mente niente al momento (ride).
Parliamo della scena rap italiana e dei “quindicenni molesti” come li chiami tu. Che vuol dire fare rap nel 2019? Che cosa è andato storto?
Semplicemente questo genere in Italia si è evoluto come in tutti nel resto del mondo. La differenza è che da noi, a parer mio, si percepisce molto di più il venire incontro alla tendenza più che alla musica stessa, al mostrarsi e all’apparire piuttosto che rivolgere la propria attenzione al contenuto. Io ho 30 anni e ricordo i primi passi mossi in questa cultura come fosse ieri. Non c’era tutta questa tecnologia. Ai tempi ci si limitava a stare insieme cercando di crearsi un giro nelle jam, scrivendo testi per esprimersi e comunicare un disagio o più semplicemente per arrivare a qualcuno. Ora è fine a se stesso, la maggior parte dei rapper scrive per avere un tornaconto dai propri coetanei, per cercare di mettersi in mostra o per ricevere views parlando di argomenti triti e già sentiti. Questa però è solo la mia opinione e la mia percezione su questo genere.
Come ti trovi nella scena italiana?
In verità sono sempre contento quando vedo che le cose si evolvono. Non importa come o in che direzione, mi piace sapere che c’è un rinnovamento, fa parte del gioco. Nella scena italiana ho sempre fatto fatica ad avere il mio spazio, anche perché ciò che propongo io non si rifà a standard precisi o recinti imposti. Scrivo quello che sento senza badare troppo a ciò che vuole il pubblico o la tendenza momentanea, lo faccio in primis per me. Quindi, rifacendomi alla tua domanda, ti direi che mi sento abbastanza stretto. Come ripeto, mi piace che questa musica si stia rinnovando. L’implementazione di un nuovo linguaggio, più semplice e diretto, ha permesso anche ai non addetti ai lavori o ai più giovani di potersi interfacciare meglio a questa musica, abituandocisi.
Che cosa ti piace e che cosa vorresti cambiasse?
Ciò che mi piacerebbe cambiasse è il target d’età. In un’epoca dove il rap cresce tra le mani dei giovanissimi è normale che le argomentazioni siano quelle di persone con poche esperienze, magari non corrisposte a gente più grande o semplicemente più navigata, per così dire. Del resto di testi che parlano di quanto sei figo o quante canne ti fumi al giorno ne abbiamo sentiti per anni, e la cosa che mi spiace è sapere che i rapper attuali siano poveri di argomenti o più semplicemente non abbiano voglia di addentrarsi in argomentazioni più profonde solo perché una cosa non vende o per non suonare troppo grevi, per così dire. Però in definitiva di gente che spacca ce n’è un sacco, è ovvio che non tutti possono rispecchiare il volere di uno o dell’altro, e credo sia giusto così, se una cosa non ti piace non l’ascolti.
“Drăculești Freestyle” è il tuo nuovo singolo. Sembra un pezzo piuttosto controcorrente rispetto al rap al quale ci hanno abituato le radio. Che cosa puoi dirci al riguardo? Come è nato questo brano?
Sì, è vero. In realtà io amo l’hardcore rap e tutto il filone cinematografico del grottesco e del soprannaturale. Inoltre per me fare rap è anche fare teatro, calarmi in un personaggio e argomentarne le gesta. In questo caso volevo che “Drăculești” uscisse come freestyle, una traccia scritta in maniera molto veloce e diretta, più stilistica che argomentativa o musicale. E così ho fatto. La sera che la scrissi davano “Dracula” di Francis Ford Coppola in tv e ho detto: «Wow!». Ora prendo come spunto questo film e ci creo una storia intorno. E da lì è nato il singolo.
Dracula è un personaggio grottesco che si è radicato nell’immaginario di tutti, eppure in grado di affascinare intere generazioni. Come si coniuga questa figura con il rap e con i personaggi che affollano la scena?
Guarda, a me piaceva calarmi in una figura sanguinosa e cruenta come quella del voivoda stesso. Volevo fare un pezzo un po’ smargiasso, un autocelebrazione in classico stile hip hop con sfumature noir come piacciono a me. Il pezzo è nato molto velocemente, in una sera l’ho finito e in un giorno l’ho registrato. Non è un pezzo pensato come può essere “Go Home” o “Lights Out”, è stato più un esercizio di stile per tenermi allenato.
Viviamo in un momento storico dove il rap sembra avere pochi contenuti. A cosa pensi sia dovuta questa assenza di sostanza? Pensi che un brano come “Drăculești Freestyle” possa destabilizzare e quindi fare la differenza? Perché?
Non te lo so dire. La gente non vuole farsi troppi film sui pezzi che ascolta. Considera che il mondo va molto più veloce delle persone ora, il tempo è sempre meno e l’ascoltatore medio non fa ricerca su quello che ascolta, lo ascolta e basta. La gente ascolta musica in radio, al supermercato, mentre va a lavoro o a casa la sera mentre cucina o in palestra. Il rap è un genere che, almeno per la scuola che seguo, va studiato, compreso, sfruttato per cogliere spunti di riflessione, etc… E’ normale che in tempi così frenetici, ascoltare roba pesante è più difficile, considerando anche che a questa musica ci stanno abituando adesso. “Drăculești Freestyle” è un brano scritto senza chiedere permesso, è un flusso di coscienza, o lo cogli o no, non c’è molto da dire. Farà la differenza, non lo so. C’è e basta. Vedremo.
Quali sono i brani o gli artisti che hanno influenzato la tua produzione musicale?
Troppi. Molti neanche rap. La prima roba l’ho ascoltata attorno ai 15 anni, i dischi del Wu Tang Clan, Eminem, Tupac, Biggie, Mobb Deep e tutto il bagaglio culturale che chi si interessava al genere in quegli anni si portava dietro. Ora ti direi che ascolto di tutto e traggo ispirazione da un sacco di artisti, molti, come ti dicevo, non fanno neanche rap, ma tutt’altro. Al momento in Italia riconosco molto talento in Rancore, XVI, Barre, Mezzosangue, Nitro e la Machete, la Mad Soul Legacy, Clavergold, Murubutu, KMaiuscola, Axos, Ernia, giusto per citarne alcuni. Di internazionali ho da elencartene troppi, ti direi che al momento mi sta gasando molto tutto il repertorio Griselda, sempre roba classica comunque. Sono un affezionato dei Jedi Mind Tricks, le uscite Rhymesayers, Babygrande, Anticon Music… insomma, ce n’è (ride).
Chiudiamo con il classico “Fatti una domanda e datti una risposta”. Cosa vorresti chiederti?
Se diventerò famoso. E ti rispondo di no. Morirò solo e incompreso come il caro vecchio Vincent e la gente si renderà conto del valore delle mie opere solo quando me ne andrò (ride).