Si conducono, goliardiche monelle, sulla riva romagnola tra passi di samba, salti afrobeat, giravolte funkeggianti e massiccia, gaia elettricità. Penso a “Gamolla” o “Bagarre”. Al glitter elttropop che apre “Salomone” che poi va a farsi un giro di liscio frizzantissimo ed elettronico. Sono creature polistrumentali affidate all’anarchia. Fatta eccezione di “Insalata”, il pezzo più acido e brillantemente storto di “Sukate”, le lyrics arrivano come gorgheggi.
“Sukate” è il nome di nove sorelle ballerine. Ricche e demenziali, arrivano deliziose e irriverenti e fanno il giro del mondo.
Sono schizzi di fontana ad una festa di paese in “Vongole”. Cristalline e giapponesi nella meno indisciplinata “Watashi”.Libertà e diversità. Queste le parole chiavi che, sotto il cappello comune della musica, vogliono abbattere il filo spinato della geografia. Questo è “Sukate”, questo il lavoro artistico dei Ponzio Pilates. Band nata dalle improvvisate jam session in quel del riminese, i Ponzio Pilates pubblicano “Abigade”, un primo EP in lo-fi completamente autoprodotto. Per “Sukate”, la produzione è stata affidata ad Andrea Lepri e Marco Carollo una volta concretizzata la possibilità di realizzazione del disco.
Sì, perché “Sukate” è nato grazie alla raccolta di crowfounding lanciata dalla band sulla piattaforma Musicraiser. Sono sempre di più i dischi che nascono dall’amore condiviso, da una volontà di resistenza capace di costruire i ponti dalle macerie dei limiti. E i Ponzio Pilates hanno restituito tutto. Hanno scritto delle canzoni per i nostri piedi nudi. Irrilevanti gli specchi, il mio augurio è che possiate indossarne il vorticoso, strabiliante ritmo irriverente.