Un minialbum breve ed incisivo, che pur non battendo strade nuove risulta funzionare bene, complice una buona esecuzione tecnica e compositiva. Si parte con la godibile “Sweet Danger”, che martella forte su un riff semplice ma efficace. La voce insinuante è buon completamento per la calda ruvidezza del comparto strumentale.
Sebbene si muova su stilemi ormai classici, “Pain & Victory” è un pregevole esordio per il progetto Heirs of Fire
Con la stessa grinta comincia “Pain & Victory”, brano il cui incedere ricorda gli Avenged Sevenfold, duro nei riff e melodico nel ritornello. “Corrupted” invece parte vertiginosa per poi sciogliersi in un pezzo arrabbiato e accusatorio. “Undead”, ispirata al famoso videogioco di ruolo “Dark Souls”, è forse il pezzo più fiacco dell’album a livello di testo, sebbene il comparto strumentale regga dignitosamente.
“Feed the Beast” incoraggia l’ascoltatore a scatenare la sua bestia interna, a suon di chitarra thrash metal, frenata da un ritornello più rockeggiante e orecchiabile. Un cambio di stile brusco, che forse non funziona perfettamente. Ma, al contrario, l’ipnotico mantra finale conclude la canzone nel modo giusto. E ipnotica è la traccia finale dell’album, “Set Me Free”. Vera gemma di “Pain & Victory”, è sospesa su un’atmosfera attutita, onirica, che coinvolge l’ascoltatore in un mondo sognante e malinconico.
Un mix di Alternative Metal e Rock, percorso da riuscite venature oniriche
In conclusione, l’album rappresenta un esordio interessante. Sebbene “Pain & Victory” si inserisca senza grossi colpi di testa nel filone dell’alternative metal americana, e la commistione rock sia qualcosa di già visto e (fin troppo) collaudato, lascia ben sperare questo afflato onirico, intimo e ipnotico che emerge nei punti più riusciti di questa produzione. Spero che John Legato continui a battere su questi punti, per raggiungere un sound immediatamente riconoscibile.