I Gazpacho, con il loro undicesimo disco, “Fireworker”, si confermano sublimi interpreti dell’art rock
Il primo singolo estratto dal nuovo album dei Gazpacho è la title track “Fireworker”, ed è il nome con cui la band idealizza quella bestia. Molto più atmosferic rock rispetto al brano d’apertura. Senza disdegnare sfuriate di chitarre dal sapore dark metal, alternate a fasi di canto quasi melodic rock. Questo per dire che se assecondi la bestia lei ti fa giocare, e ti rende felice. Al contrario, se la contrasti lei ti punisce severamente. La capacità espressiva ed il gusto verso l’arte finissima dell’idealizzazione e rappresentazione degli stati d’animo o dei fenomeni mentali fa dei Gazpacho una band unica. Difficile trovare un gruppo musicale che basa il suo lavoro sulle atmosfere e sulle emozioni, spesso derivanti dalle nostre menti sottomesse al volere della bestia. “Antique” è il resoconto di migliaia di generazioni in cui l’animale nella nostra mente non è mai stato soggiogato, progredendo, così come l’arte dei Gazpacho.
Estrema ammirazione, e profondo rispetto per una band ormai, da venti anni, riconoscibile anche tra centinaia
“Hourglass” è una bellissima opera per pianoforte. Una ballata intramezzata da parti orchestrali e splendide melodie avvolgenti, al contrario della traccia di chiusura del disco. “Sapien” prende rapidamente la predominanza, risultando molto più vivace e più accostabile a “Space Cowboy”, stupendamente chiusa da un finale maestoso, dal gusto amaramente epico. Come raccontare questo nuovo lavoro da studio dei norvegesi Gazpacho se non con estrema ammirazione, e profondo rispetto per una band riconoscibile anche tra centinaia? Non possiamo. E quindi chapeau a loro, che da anni ci trascinano in territori scuri, ma tendendoci sempre la mano aiutandoci a ritornare alla luce.