Un po’ HIM, un po’ Lacuna Coil, gli Strigas faticano a trovare una dimensione che sia puramente personale
Le tematiche di “The Loner” non si discostano molto da quanto la band ci aveva mostrato in “A Poisoned Kiss to Reality”, né dagli stilemi tipici del loro genere di riferimento. Le liriche sono per lo più riflessioni depressive sulla vita, vista come una prigione (“Prison”), come un’illusione (“Deliverance”), come una pioggia infinita (“To Nowhere”). Cosa che andrebbe benissimo, se anche in questo comparto il lavoro non soffrisse di una notevole stucchevolezza. Versi come “This Life ain’t nothing but a storm / And we hope each day for a new dawn” fanno male alle budella. Se tradotti in italiano causerebbero quanto meno una sonora sbuffata, almeno a chiunque sia nato prima dell’anno domini duemila. Quindi, in conclusione, devo registrare che anche sotto questo punto di vista l’ultima fatica dei The Strigas risulta carente.
Nonostante la scarsa originalità, si riconosce a “The Loner” una esecuzione curata e competente
Arrivati a questo punto, vi sarà chiaro che l’album non mi ha impressionato. C’è, quindi, qualcosa da salvare in questo “The Loner”, che con una certa dose di sfrontatezza (o forse, più semplicemente, inconsapevolezza) usurpa il nome di una splendida canzone di Gary Moore? Quella si, capace di farti sentire la solitudine senza neanche l’uso di un testo. Forse c’è. I The Strigas suonano bene, da un punto di vista strettamente tecnico. L’album è curato ed eseguito con competenza. Forse proprio da lì, dal divertimento per il suonare potrebbero uscire l’improvvisazione e l’estro necessari a stupire un pubblico che di questa musica ne ha sentita ormai tanta, forse troppa. Se invece i fan dei The Strigas amano a tal punto il love metal da apprezzare questo “more of the same”, tanto meglio.