Un’opera tormentata “Transiti” reca inciso su di sé il decennale lavoro che l’ha prodotta
La semplicità efficace del comparto strumentale è frutto evidente di un lavoro di cesello, che punta tutto sul completare la verbosità dei versi di Alessandro Rocca. Questi ultimi privilegiano le immagini, si torcono su sé stessi e seguono il filo del loro flusso di coscienza, lasciando poco spazio alla musicalità. Ne risulta un lavoro drammatico e al contempo sussurrato, malinconico ma non ancora disposto a lasciarsi andare. Certo non si tratta di easy listening, e l’andamento di alcune tracce non sfugge, a mio avviso, a una certa prosaicità e monotonia.
Un lavoro cantautoriale che fa perno sulla opprimente efficacia delle sue immagini poetiche
Ciò non toglie che quando funziona, “Transiti” riesce ad essere la potente disamina sonora di una vita bruciata nei rimpianti, grazie soprattutto all’efficacia delle immagini poetiche che propone. Versi come: «mummificato nelle lastre di una cima alpina/ mantiene un uomo i tratti mimici dell’autostima» spiazzano l’orecchio dell’ascoltatore, che si ritrova, come l’uomo nella stanza, immerso in un mondo dai colori grigi, appena penetrato di un sole freddo. Consigliare questo viaggio in penombra? Se siete alla ricerca di qualcosa di leggero, di un album simpatico e dilettevole col quale passare la quarantena, “Transiti” decisamente non fa per voi. Ma se voleste tirarvi fuori dalle personali pandemiche miserie, per calarvi nel buio di una drammatica confessione personale, il lavoro di Alessandro Rocca potrebbe cogliervi di sorpresa.