Luca Guidi, però, nonostante sia alla prima pubblicazione da solista, ha un passato di musico tutt’altro che esordiente. Musicista e cantautore, Luca Guidi è ex membro dei Betta Blues Society e componente dell’orchestra di ukulele Sinfonico Honolulu. Diverse e fruttuose, peraltro, anche alcune collaborazioni che hanno valso ai suoi brani diversi riconoscimenti.
Ci si domanda cosa il 2020 riserverà per “Sudoku”, un disco dal genuino e raffinato gusto pop e che parla d’amore. Di quell’amore che incontra il favore della poesia cantautoriale italiana e che in “Sudoku” Luca Guidi omaggia con squisita leggerezza e una freschezza atemporale. Infatti, se già dall’apripista, “Mio zio Virgilio” si avverte una degregoriana matrice, in verità tutto il disco sembra essere una personale interpretazione della musica e della poesia.
“Sudoku” è un disco genuino e dal raffinato gusto pop
Non a caso, ci si rende subito conto che “Sudoku” pare abbracciare duemila secoli di tradizione. Quella tradizione musicale che non sa morire e che pure non conosce che il tempo al presente. Musicalmente, le chitarre – quando acustiche – incorniciano una ritmica sognante ed emozionale e che avanza a passo d’onda. Quando elettriche, sono frizzanti, attuali e mai scontate.
I brani sono semplici da ascoltare, ma particolarmente puntuali nella costruzione. Sì, perché non mancano i fiati, il pianoforte, l’impiego del synth e di altre corde orchestrali. Il tutto, amalgamato ed arrangiato secondo un principio guida base che molto ricorda quello dell’arte poetica. Un trovatore, Luca Guidi, che in “Sudoku” racconta il non–detto delle relazioni. Quello scarto emozionale che provoca sì il distacco, ma anche l’avvicinamento a una nuova versione di sé.
In sostanza, “Sudoku” è un disco ben riuscito, amabile e delicato. Qui, Luca Guidi, fa della poesia il mastice essenziale che in un mondo privo di senso, dà un suo tono e colore a quell’inutilità del necessario che è il pensiero e la bellezza dell’arte. Un ottimo esordio, bravo!