In “Rise of the Empire”, l’ascesa di Cesare è raccontata a suon di growl e cattiveria
Un connubio sicuramente insolito, ma certamente non la cosa più strana mai realizzata in ambito metal. Ne esce fuori un album senza respiro, in cui le trombe militari, i flauti e i cori conferiscono una certa aura di epicità a un death metal particolarmente ignorante. Dopo le introduzioni di “Forge the Myth” ed “Empire”, la storia di Cesare emerge dalle nebbie del tempo con “The Gallic Hourglass” e Chains of Alesia”, dedicate all’impresa contro Vercingetorige. Sentire l’assedio di Alesia, uno dei momenti più complessi del comando militare di Cesare, raccontato da un tappeto ritmico così massacrante, può portare un ghigno sulla bocca, ma bisogna ammettere che il mix funziona. A seguire, è la traversata del Rubicone. “Once the Die is Cast” rallenta il ritmo in una cattivissima marcia thrash, per un pezzo che calca la mano sulla pesantezza.
Un album in cui gli ADE mescolano con successo antichità e Metal estremo
“Gold Roots of War” e “Ptolemy has to Fall” raccontano la conquista dell’Egitto. “Suppress the Riot” e “Veni, Vidi Vici” sono dedicate, invece, alla guerra civile che vide Cesare contro Pompeo. L’ultima è forse la canzone più riuscita di tutto l’album, forte di una ritmica più distesa e “orecchiabile” (per standard death metal, ovviamente), senza perdere per questo un’oncia di violenza. Il ritmo, inarrestabile fino a questo punto, trova un momento di relativa quiete in “The Blithe Ignorance”. il suo inizio riflessivo è poi controbilanciato da un riff che riesce ad essere anticheggiante e rullatissimo allo stesso tempo. “Rise of the Epire si chiude” con “Imperator”, dedicata alla consacrazione di Cesare al governo di Roma, con un ultima cavalcata, che non lascia che intravedere la fine della storia. Un buon album , che consiglio ai fan delle commistioni nel metal, e a quelli a cui sta antipatico Gneo Pompeo.