Moscow: Siamo l’ultimo whiskey di Sinatra prima di indossare un sorriso e incontrare una famiglia potente
Per quel che riguarda la vocalizzazione, le vibrazioni emanate dalle liriche dei Moscow stridono incrociandosi con le altre. Saper sostenere una dissonanza melodica richiede sapere cosa si sta facendo, o perlomeno un ottimo orecchio. Non è mai stato affare semplice accogliere consensi sullo screaming, e con il tasso di attrito ricercato dai Moscow i giudizi discordanti non fanno che aumentare. Da “Silk Road” fino a “Rosemary’s Lounge” la band porta avanti con coerenza la caratteristica peculiare del post hardcore: una totale assenza di criterio nello sviluppo di una traccia. Passa da motivi più psichedelici, alcuni persino tendenti al blues, senza dimenticare parentesi più propriamente grunge.
Moscow: Siamo la carezza ad un gatto col sorriso di chi ha appena stuprato la storia
Sono decadenti i sentimenti che rilascia la musica dei Moscow. È impossibile non immaginarsi il cantante salivare pesantemente sul microfono, in preda a crisi estatiche che solo la poesia sa dare. Voglio credere che “Moscow” nasconda un potenziale che solo un’esibizione live potrebbe svelare. “Moscow” è un EP che non deve essere ascoltato una volta soltanto. Il trio ha preso tutto ciò che di melodico sarebbe potuto esistere in quest’album e l’ha riscritto nell’ottava chiave: diafonia che si fa scandalo in forma di respingenza. L’impressione è che i Moscow ambiscano a essere avanguardia dell’underground. Ma si sa, il pubblico medio è estremamente borghese. E spesso si corre il rischio di spaventarlo.