Seguendo l’onda di gruppi come Ministri, Fast Animals And Slow Kids, o per guardare un po’ più indietro nell’hardcore italiano, Gazebo Penguins, gli Artico non hanno nulla da invidiare a nessuno. Il loro sound sporco e tagliente, finemente costruito, e la voce che urla gli stati d’animo più disparati, sono similabili a un vero pugno nello stomaco. “Uscirne Illesi” è un album da ascoltare tutto d’un fiato. Undici tracce ben scandite che si lasciano ascoltare facilmente, grazie agli scarsi minutaggi che raramente superano i tre minuti.
Il master delle tracce di “Uscirne Illesi” degli Artico è perfetto. I volumi sono alti ma mai perdono di qualità, ogni strumento è riconoscibile e la voce non viene mai sovrastata dagli strumenti
Nel dettaglio, l’album si apre con “Lo chiamavamo casa”, uno dei pezzi più forti di tutto il lavoro. A seguire, il singolo estratto da cui anche il video della band “Purgatorio”. Già i primi due brani sono in grado di definire tutto l’ascolto. Il master delle tracce è perfetto, i volumi sono alti ma mai perdono di qualità, ogni strumento è riconoscibile e la voce non viene mai sovrastata dagli strumenti. A proposito della voce, forse uno studio più approfondito delle armonie potrebbe dare l’ennesimo slancio alla band, che sembra altrimenti ripetersi troppo.
Seguono “Frastuono” ed “Errori”. Quest’ultima si prende il mio personalissimo ed inutilissimo premio di miglior brano dell’album. Perché? Probabilmente è il brano che racchiude tutte le migliori sonorità della band, tra chitarre pulite, arpeggi, cambi di rotta distorti e coerenza vocale. Si prosegue con “È finito il tempo” e “Incubi” e ogni traccia aggiunge una nuova skill alla band, come rullate precise, tempi dispari nei bridge profondità nei testi.
Tutto il pubblico che è in grado di fare un ascolto attento, percepire i cambi nei suoni e andare oltre la maschera del “rumore” è pregato di premere play
Consiglierei quest’album ad un ascoltatore medio? Assolutamente no. Non si tratta di un lavoro due facce che potrebbe accaparrarsi la fetta di pubblico pop. Ma tutto il pubblico che è in grado di fare un ascolto attento, percepire i cambi nei suoni e andare oltre la maschera del “rumore” è pregato di premere play. Sicuramente gli Artico sono quella che si definisce una “live band”, dando il meglio del loro sul palco e non in studio, dove l’aggressività della voce e la cattiveria degli strumenti riescono a coinvolgere ancora di più.
L’album scorre verso la fine con “Nubi”, “Puzzle” e “Quando saremo stanchi arriverà il momento” senza perdere colpi. I brani si alternano tra ritmi serrati e momenti di quiete. Senza annoiare e accompagnando verso la fine di un lavoro che sicuramente renderà l’ascoltatore un po’ più sazio (musicalmente parlando) e forse gli farà perdere qualche colpo all’udito, se ascoltato a tutto volume. Ma non avrebbe senso farlo diversamente.
Non ci resta che aspettare la ripresa dei concerti per andare a confermare queste parole con una birra sotto il palco
“Ricordi” e “Schegge” chiudono quindi il lavoro con toni piuttosto definitivi. Sarà l’uso delle scale minori che a tratti ricordano i riff dei Sistem Of A Down nell’ultimo brano, o forse che la band non ha davvero più nulla da dire, almeno per ora. Nessuna particolare critica quindi verso “Uscirne Illesi” se non quelle precedenti. Se l’obbiettivo degli Artico fosse stato quello di approcciarsi al pubblico di massa, allora ci sarebbero molte cose da rivedere. Ma non credo sia questo il caso. Per essere un primo lavoro, si tratta di un album più che soddisfacente. Non ci resta che aspettare la ripresa dei concerti per andare a confermare queste parole con una birra sotto il palco.